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Come racconteresti l’8 marzo a una bambina?
Conflitti
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Se avessi una figlia, cosa potrei raccontarle su questa giornata? È l’8 marzo, la Giornata internazionale della donna: lei stessa vedrebbe che da giorni le vetrine dei negozi si riempiono di accessori dal colore giallo, che i cioccolatini la fanno di nuovo da padroni come a San Valentino, che i fiorai vendono mazzetti di mimose; noterebbe di certo che qualche piazza o sala conferenze si riempie di donne di varia età decise a ricordare i troppi ambiti nei quali esse sono ancora oggi oggetto di discriminazione e, di certo, con orgoglio, a ribadire il diritto ad avere opportunità pari agli uomini. Potrei raccontarle le numerose storie che circondano la scelta di questa data, tutte connesse a straordinarie manifestazioni di piazza messe in atto da donne per ottenere diritti civili e politici, come quella di San Pietroburgo dell’8 marzo 1917 che 100 anni fa segnò l’avvio della Rivoluzione Russa, o anche per reclamare maggiori tutele in ambito lavorativo e sanitario a seguito dei numerosi incidenti mortali o tragici incendi, specie nel settore tessile, in cui trovarono la morte molte operaie.
Venendo ad oggi potrei dirle perché tutte queste rivendicazioni sono ancora valide, in alcune parti del mondo in particolare; ma anche in Italia e in Europa, dove i diritti riproduttivi restano un miraggio, gli squilibri salariali a parità di occupazione una vergognosa realtà, e il peso dei lavori domestici e familiari resta socialmente e culturalmente a carico della donna. Ecco la ragione per la quale non di rado, sin da giovane, potrà essere coinvolta pure a scuola in progetti che le parlano di pari opportunità nel mondo dello studio e del lavoro; forse in maniera ancora troppo astratta o forse inconsapevole. Crescendo, probabilmente capirà meglio questi concetti sulla sua pelle nel momento in cui si metterà alla ricerca di un lavoro e se tenterà di coniugare carriera lavorativa e famiglia. Le disuguaglianze a carico della donna restano purtroppo ancora numerose ma non saprei davvero come potrei spiegare a una bambina la ragione per cui sembra così “scontato” che siano le stesse donne a farle emergere e a chiedere un cambiamento. Già mi immagino le sue parole “E quando si celebra la Giornata internazionale dell’uomo?” Come spiegarle che non esiste? E soprattutto come raccontare che la discriminazione di un sesso va matematicamente a vantaggio dell’altro sesso, seppur secondo un calcolo non a somma zero ma in cui a perdere clamorosamente è l’intera società? Il rischio è quello di alzare pericoli steccati di genere o di favorire la percezione che la Giornata internazionale delle donne, così come qualsiasi altra azione/politica a favore della parità di genere, sia una questione da donne e per le donne, in cui l’uomo possa al massimo aderire donando cioccolatini o un ramoscello di mimosa profumata.
Sarebbe bello se invece, a mano a mano che la bambina crescesse, quelli che sono dei timidi segni di maggior interesse e partecipazione degli uomini a manifestazioni e richieste divenissero più evidenti. Magari già in questo 8 marzo 2017 in cui è stato organizzato uno sciopero mondiale delle donne indetto dalla statunitense Women’s March per protestare contro le forme di disuguaglianza tra uomini e donne tuttora presenti nel mondo. Come farlo? Con un’idea molto semplice: per un giorno le donne renderanno più evidente il loro lavoro e il ruolo di consumatrici proprio astenendosi dal lavoro e dagli acquisti. Forse così si accenderanno meglio i riflettori sul loro valore, non solo per renderlo più evidente a tutte le donne, anche a quelle disinteressate, ma pure agli uomini e alle istituzioni.
L’incisività dello sciopero sulle effettive politiche nazionali e globali sarà dettata anche dalla sommatoria di una serie di azioni già messe in campo. Tra queste, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibili stabiliscono entro il 2030 il raggiungimento dell’uguaglianza di genere che passa attraverso non solo la parità di accesso all’istruzione ma anche l’eliminazione delle discriminazioni e delle violenze di cui le donne sono oggetto in ogni parte del mondo. La recente indizione di una Giornata internazionale delle ragazze e delle donne nella scienza risponde a quello che viene ritenuto uno “scoraggiamento” per le donne, sin dalle più giovani età, a intraprendere studi e a immaginarsi una professione in ambito scientifico a tutto favore del settore umanistico e dei servizi. Il noto “divario digitale di genere”, ossia la diversa familiarità con pc e tecnologie digitali tra uomini e donne, che appare pressoché nullo tra gli adolescenti nel nostro Paese mentre invece permane nelle fasce di età sopra i 35 anni, in altri Stati al mondo dove esiste un ben definito ruolo della donna relegato alla gestione domestica e dei figli appare più evidente e fonte di ulteriori discriminazioni. Per questa ragione da tempo Rosa digitale, movimento nazionale di pari opportunità in ambito tecnologico e informatico, è impegnata per formare, preparare e introdurre giovani e meno giovani a tutto ciò che concerne il digitale. Nella settimana dell’8 marzo l’associazione si dedica precipuamente a organizzare eventi divulgativi e pratici su programmazione, web marketing, robotica, elettronica, graphic e web design, giornalismo online, digital painting, fotografia digitale e tanti altri temi “tecnologici”, così da ridurre le discriminazioni di genere.
Da tutti questi elementi emerge che sta facendo breccia nel cuore e nella mente di molti la consapevolezza che la parità di genere sia una condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace: si spera non solo negli animi di piccole bambine che si affacciano sul mondo che queste generazioni le stanno lasciando.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.