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4 Novembre? Non è la nostra festa
Conflitti
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Immagine: Facebook.com
Quella terminata il 4 novembre 1918 è stata una guerra che come tutte le guerre ha portato morte e distruzione. È stata una guerra di aggressione, di un’Italia che rivendicava il diritto all’occupazione di altri paesi (ricorda più di un governo oggi…). È stata una guerra ferocissima contro chi si ribellava con la diserzione e la renitenza alla leva. Mai come in questi giorni c’è bisogno di urlare contro la propaganda militarista e nazionalista che trova spazio ovunque, perfino nelle scuole. Il grido dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università.
In Parlamento procede l’iter che potrebbe portare all’istituzione del 4 Novembre come festa nazionale. Una simile celebrazione rappresenta un ulteriore passo in avanti rispetto al processo di normalizzazione della guerra e di marginalizzazione della cultura della pace che quotidianamente osserviamo nel mondo educativo e nella società.
Ci sgomenta la particolare attenzione rivolta alle istituzioni scolastiche invitate anche in questa giornata a “sensibilizzare gli studenti sul ruolo quotidiano che le Forze armate svolgono”. Si tratta di una ennesima narrazione falsa ed edulcorata che tace sulla violenza e sulle distruzioni della guerra e fa leva su quegli interventi – in occasione, per esempio, di calamità naturali – che in realtà potrebbero essere svolti da un altrettanto valido servizio civile. Un tentativo di far accettare supinamente alle nuove generazioni l’inevitabilità delle guerre eludendo ogni forma di riflessione critica sul tema.
Una riflessione di Laura Tussi:
Si profila quindi un 4 Novembre che mira a portare dentro le scuole una forte ventata di nazionalismo, attraverso la retorica del compimento de dell’unità nazionale, e di militarismo facendo ricorso alla retorica del sacrificio: “Si intende ricordare, in special modo, tutti coloro che, anche giovanissimi, hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al dovere: valori immutati nel tempo, per i militari di allora e quelli di oggi”.
Noi, proprio perché abbiamo il massimo rispetto per chi ha perso la vita nel corso del primo conflitto mondiale, pensiamo che la riflessione sul 4 Novembre debba indagare i fatti storici sottraendoli alla retorica militarista. Il nostro obiettivo è antitetico a quello del Governo: noi vogliamo “gettare” finalmente la guerra fuori dalla storia.
Va innanzitutto ricordato che la Prima guerra mondiale fu per il nostro Paese una guerra di aggressione. Fu infatti l’Italia a dichiarare guerra all’Austria, dopo aver sottoscritto il Patto di Londra, un accordo con il quale Francia, Gran Bretagna e Russia assicuravano all’Italia, in caso di vittoria, l’espansione dei propri confini anche in territori in cui la popolazione italiana era in netta minoranza. Territori nei quali pochi anni dopo avvenne l’italianizzazione forzata ai danni di lingue e tradizioni autoctone. Altre rassicurazioni rivolte all’Italia dalle allora potenze mondiali riguardavano una parte dell’Albania, tutte le isole del Dodecanneso (peraltro, già occupate), il riconoscimento in Libia “di tutti quei diritti e quelle prerogative (…) finora riservate al Sultano in virtù del trattato di Losanna” e, infine, “un’estensione dei possedimenti italiani in Eritrea, Somalia e Libia nelle aree coloniali confinanti con le colonie francesi e britanniche”.
È di tutta evidenza che non si trattava tanto di completare il percorso risorgimentale verso l’unità nazionale, intriso anch’esso di massacri di popolazioni del Sud inermi e di false promesse di riforme sociali, quanto invece di riaffermare il carattere imperialistico di un’Italia che rivendicava il diritto all’occupazione e allo sfruttamento economico di altri Paesi, né più né meno di altre potenze coloniali europee.
Contro questa narrazione a senso unico è fondamentale ricordare la diffusa opposizione di tanti soldati verso i comandi che sfociò in diversi episodi di diserzione e renitenza alla leva con conseguenti condanne nei tribunali militari e decimazioni al fronte: circa 870mila denunciati, 350mila processi celebrati, 170mila condanne eseguite.
La ferocia dei comandi militari, le decimazioni, le condizioni bestiali in cui i militari italiani si trovarono in trincea sono tutti elementi, ampiamente riconosciuti dalla storiografia, che devono di necessità entrare in una riflessione didattica attorno alla Prima guerra mondiale.
Un conflitto che Papa Benedetto XV definì prima “un’orrenda carneficina” che disonora l’Europa e successivamente una “inutile strage”.
Ci sono dunque fondati motivi per evitare una ricostruzione storica tanto acritica quanto appiattita sulla propaganda militarista odierna, o ancor peggio retorica e bellicista, di questo tragico periodo storico. Soprattutto oggi, in un mondo ancora attraversato da numerosi conflitti, e non solo in Ucraina, è necessario difendere e diffondere la cultura della pace per contribuire a realizzare il fine politico e storico della “pace perpetua” per l’intera umanità, così come prescritto nella nostra Costituzione.
Nel contesto attuale, le celebrazioni del 4 Novembre, Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate, diventano, perciò, l’occasione per esaltare non solo il passato bellicista, ma il presente sostegno alla guerra.
Così scriveva Lorenzo Milani: “Era nel ’22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l’esercito non la difese. Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e, riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo”.
Non intendiamo, a cent’anni di distanza da quei tragici eventi, annacquare la storia e la storiografia nell’esaltazione acritica delle idee di patria e del dovere dentro un sistema di disvalori in cui il sacrificio della propria vita e l’annientamento del nemico vanno a braccetto con le malsane idee di vittoria e gloria perpetua. La guerra, qualsiasi guerra, è solo morte e distruzione. La guerra non ammette vincitori...