Colombia: Uribe e lo stato di guerra

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In Colombia per il presidente Alvaro Uribe è partita una nuova campagna elettorale. Il suo mandato infatti scade nel 2006 e secondo la costituzione colombiana non è possibile una rielezione, ma Uribe sta facendo pressioni per cambiare la costituzione e, rieletto, portare a termine importanti cambiamenti legislativi e il suo progetto di lotta al terrorismo. La sua popolarità è stimata al 70-80% anche per alcuni importanti scioperi e manifestazioni organizzati contro la FARC, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, i gruppi di guerriglia colombiana di estrema sinistra.

L'elezione di Alvaro Uribe Velez lo scorso 26 maggio 2002 ha immediatamente comportato l'ordine di rioccupare la cosiddetta "regione di distensione", un'area di 42mila chilometri quadrati che era stata smilitarizzata dal precedente governo, decretando il fallimento di un negoziato durato tre anni e soprattutto del processo di pace in Colombia: la parola è tornata alle armi.

Il mantenimento dei legami commerciali con gli USA è uno degli obiettivi principali della politica di Uribe. Gli Stati Uniti appoggiano la "strategia democratica della sicurezza" e il programma di estirpazione della cocaina. Si parla inoltre di un possibile accordo bilaterale di libero commercio (FTA, free-trade agreement) che potrebbe essere firmato dai due paesi durante l'anno, anche se non verrà attuato prima del gennaio 2005.

Questi rapporti commerciali favoriti - i prodotti tessili e abbigliamento non sono soggette a tariffazioni - hanno inoltre riattivato la fiducia del Fondo Monetario Internazionale nei confronti della Colombia, che adesso può aspirare ad accedere ai mercati internazionali di capitali. Il presidente colombiano di centrodestra ha trovato negli Stati Uniti quello che gli ha negato l'Europa, ossia credibilità e sostegno al suo Piano di Sicurezza democratica, nuova dicitura per il vecchio Plan Colombia, promosso da Washington quattro anni fa con l'obiettivo dichiarato di porre fine al narcotraffico. Un piano in realtà diretto a liquidare una volta per sempre i gruppi guerriglieri di sinistra diventati dall'11 settembre, dopo 40 anni di esistenza e di lotta, "terroristi".

Inoltre dagli USA è giunto un sostegno alla Legge di Alternatività penale che riconosce uno status politico e il reinserimento nella vita sociale ai paramilitari e solo a loro e anche allo speciale Statuto antiterrorismo col quale intende attribuire facoltà di polizia giudiziaria ai militari per arrestare qualsiasi cittadino, perquisire le abitazioni e intercettare le comunicazioni senza mandato giudiziario.

Sono ormai comprovate le connivenze tra esercito e paramilitari: allestiscono i posti di blocco e pattugliano i villaggi insieme dando seguito ogni giorno alla guerra del terrore contro indigeni e poveri contadini. Secondo Javier Giraldo, che dirige "Justicia y Paz" un organismo in lotta da anni per la difesa dei diritti umani, "la teoria dei tre attori" che vede separati Stato, paramilitari e guerriglia "è la principale menzogna sul conflitto in atto in quanto i paramilitari sono nati come necessità dello Stato di commissionare ai civili la guerra sporca, per evitare di essere poi condannato dalla Comunità Internazionale". Solo nel 2002/2003 le vittime si aggirano intorno alle 13.500 tra cui molti indigeni. Nell'ultimo anno ad esempio soltanto uno di questi popoli, quello dei Kankuamo, ha subito duecento assassinii, 58 dei quali nel 2003 e, fra questi ultimi, 44 eseguiti per mano dei paramilitari.[AT]

Altre fonti: Equilibri

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