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Dove finisce l’Europa del futuro?
Globalizzazione
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Il primo maggio 2004 i giornali di tutto il mondo aprivano con titoli altisonanti sull’avvio di un nuovo periodo storico che sanciva con profonda evidenza la fine dell’ordine politico caratterizzato dalla cortina di ferro tra Est e Ovest. Non solo infatti il mondo bipolare era crollato sotto i colpi dei picconi che avevano abbattuto il muro di Berlino il 9 novembre 1989, dissolto dal rocambolesco collasso dell’Urss alla fine del 1991, ma a pochi anni da questi eventi i Paesi socialisti dell’Europa centro-orientale dell’ormai defunto blocco sovietico avevano iniziato ad aderire alle strutture della NATO e poi a quelle dell’Unione Europea.
Se decisivo ai fini di una trasformazione dell’immaginario politico-militare legato alla guerra fredda fu l’accesso di questi Stati alle strutture atlantiche, di ben più ampia portata fu la loro ammissione nell’Unione Europea senza dubbio per l’impatto demografico, economico e sociale dello stesso processo d’allargamento. Lo straordinario atto di accoglimento nell’UE in un solo colpo nel maggio 2004 di 10 nuovi Paesi membri, di cui ben 8 “ex nemici dell’Est”, comprovò un intento concreto di promuovere la stabilità politica e lo sviluppo economico del continente. Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Estonia, Lettonia e Lituania (insieme a Malta e Cipro) entrarono allora a far parte di un Mercato Economico Comune (MEC) che permette la libera circolazione di uomini, merci e capitali; e iniziarono a conoscere da vicino il significato di appartenere a una Organizzazione sovranazionale che promuove una Politica Agraria Comune (PAC). Tutto ciò dopo aver avviato dalla metà degli anni Novanta un duro percorso di apertura all’economia di mercato e di rafforzamento dello Stato di diritto, del rispetto delle minoranze etniche e dei diritti umani: requisiti essenziali per procedere con il processo di integrazione europea.
A 10 anni da questi fatti e dai toni entusiastici (misti a preoccupazione) che l’accompagnarono, cosa resta oggi? Stabilità, sicurezza e prosperità, secondo il Presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, che evidenzia come l’allargamento sia stato anche un modo di “rafforzare la democrazia, la libertà e lo stato di diritto per milioni di cittadini che prima vivevano dietro la cortina di ferro. L’Europa è divenuta più forte, più ricca e più sicura, politicamente, economicamente e culturalmente”. Un giudizio condiviso dall’intera dirigenza UE e colorito da iperboliche immagini.
Il Commissario UE all’allargamento, Stefan Fule, sostiene che “l’allargamento è nel Dna dell’Europa, per l’UE è una politica chiave. È il più potente strumento di trasformazione e serve come forte incentivo per le riforme e per rafforzare la nostra sicurezza. Insieme, in un’Europa unita, possiamo fronteggiare meglio le conseguenze della globalizzazione, della crisi finanziaria o dei cambiamenti climatici”. Opinione pienamente sposata dal Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz, secondo cui “l’allargamento è una delle politiche di maggiore successo dell’UE” e, celebrandola, “dobbiamo ricordare che solo insieme siamo più forti e possiamo competere con le altre regioni del mondo globalizzato”. La portata non solo simbolica dell’ingresso nell’UE viene ricordata invece dal presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, dichiarando che “un decennio fa a mezzanotte, l’Europa è cambiata come mai nella sua storia”. Per i Paesi che sono divenuti membri non è stato un vero “ritorno all’Europa. È stato piuttosto un ancoraggio alla libertà”.
Positive risultano le stime dei dati economici e occupazionali generati dall’ingresso nell’UE, così come positivo appare il bilancio secondo gli allora promotori dell’ammissione nei diversi Stati. Fra questi l’eurodeputato polacco di centro destra Jerzy Buzek, il primo presidente del Parlamento Europeo proveniente da questi Paesi dell’allora nuova ammissione. Intervistato dagli addetti stampa comunitari, Buzek ha parlato del significato che secondo lui l’allargamento ha rappresentato: “Mi ricordo precisamente quel momento 10 anni fa. È stato un sogno che è diventato realtà: un'Europa che respira con entrambi i suoi polmoni. É stato un giorno importante nel nostro cammino per la trasformazione e il rinnovamento verso l’Occidente”.
Queste frasi celebrative trovano forse una giustificazione per il fatto che, se dieci anni fa non fosse avvenuta questa inclusione, oggi l’allargamento non sarebbe più possibile. Non solo per la muscolare assertività della Russia di Putin, ma pure per il mutato scenario economico e politico: in un contesto di crisi gli Stati membri dell’Unione non avrebbero voluto accogliere altri vicini più poveri. E l’Europa sarebbe rimasta sospesa, a metà del guado.
Se in effetti l’ingresso nell’UE costituì per questi Stati una sorta di ammissione nella Terra Promessa a cui dunque seguì una ineluttabile disattesa del sogno, caricata ora da una forte delusione a seguito della crisi economica che ha investito in pieno anche lo spazio comunitario, nondimeno si rileva che l’UE non ha perso il suo lustro. Che invece la bussola dell’Unione Europea sia ora smarrita?
L’ampliamento dell’UE da 15 a 25 membri rappresentò un azzardo dalle conseguenze inimmaginabili e imprevedibili alle quali l’Organizzazione (su indicazione dei governi degli Stati membri) si accostò con un’indicibile fiducia e apertura, nonché probabilmente con la forte ambizione a diffondere pace, democrazia e prosperità secondo quelle linee programmatiche definite nella sua mission. La crisi economico-finanziaria ha messo in evidenza ed esacerbato divisioni fra i Paesi dell’UE e ha alzato forti ostacoli a quell’integrazione politica di cui da tempo in molti auspicano lo sviluppo. Se ci si aspettava che “mai più” l’Europa sarebbe rimasta spettatrice di un conflitto in uno territorio “out of area” (fuori dai suoi confini) ma limitrofo a essi, come nel caso delle guerre nella ex Jugoslavia negli anni Novanta, ora l’attuale conflitto in Ucraina smentisce purtroppo queste aspettative.
Occorrerebbe forse solo osare pensare un’Europa più congeniale alle attese dei suoi cittadini e affidare il mandato politico a chi può agire in tal senso. Per questo il voto del 25 maggio per la designazione dei nuovi europarlamentari è così importante: un nuovo “Big Bang” per un’UE in crisi?
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea, nel quadro dei programmi di comunicazione del Parlamento Europeo. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Unimondo.org e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vedi la pagina del progetto BeEU - 8 Media outlets for 1 Parliament .