La disputa sul Sinjar

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Foto: Unsplash.com

A più di 70’anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e l’adozione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio firmate nel dicembre 1948, molta strada rimane ancora da fare, visto che oggi i crimini contro l’umanità continuano ad essere una drammatica realtà quotidiana per popolazioni come RohingyaUiguri, Kazaki, Darfuri, Sudsudanesi e YezidiPer le vittime di genocidio, come ad esempio gli Yezidi del Nord dell’Iraq, la negazione dei crimini commessi contro di loro costituisce un’ulteriore violenza e un’umiliazione che a sua volta comporta nuovi traumi e dolore. Nell’estate del 2014 lo Stato Islamico (IS) aveva attaccato i villaggi yezidi nel Sinjar iracheno e secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, durante gli attacchi sono state uccise circa 5.000 persone e altre 3.000 donne sono state rapite, violentate, forzatamente sposate o vendute nei mercati degli schiavi dall'IS nel Nord dell’Iraq. Per il Premio Nobel per la Pace 2018, la yezida Nadia Muradtestimone diretta di queste violenze, la persecuzione legale dei responsabili dei crimini contro l’umanità commessi contro gli Yezidi nella regione del Sinjar nel Nord dell'Iraq è un passaggio fondamentale verso la pace perché finché i sunniti radicali e i simpatizzanti dell’IS nell'Iraq del Nord e nella vicina Siria continueranno ad agire in modo indisturbato, gli Yezidi della regione non vedranno alcuna prospettiva di futuro in Medio Oriente. Nadia, che è tra le poche donne che sono riuscite a liberarsi dal sequestro dei militanti dell’IS, ha sempre rifiutato il ruolo di vittima. Fin dal suo arrivo in Germania ha iniziato a sostenere le donne sopravvissute alle violenze sessuali e a battersi per far riconoscere i diritti della minoranza yezida anche attraverso il tentativo di perseguire legalmente i suoi aguzzini. “Finora gli autori di questi crimini non sono stati portati davanti alla giustizia. Io non cerco empatia, voglio azione” ha dichiarato ad Oslo nel 2018, perché “Senza protezione internazionale non c’è certezza che il terrorismo e il genocidio non tornino”. 

Mentre Nadia continua a battersi per avere giustizial’Associazione per i Popoli Minacciati (Apm) ha invitato lo scorso mese tutti i governi dell’Unione eurpea a sostenere gli sforzi per raggiungere un accordo sullo status politico e amministrativo della regione del Sinjar, nell’estremo nord-ovest dell’Iraq, abitata prevalentemente da Yezidi . Dopo l’espulsione dell’IS dal Sinjar nel 2015, in quest'area sono nate diverse amministrazioni locali indipendenti e concorrenti, una circostanza che ha reso tutti e nessuno responsabili della ricostruzione e della sicurezza di una regione che era già economicamente svantaggiata prima del genocidio della popolazione Yezidi. Adesso i rappresentanti Yezidi, il governo regionale del Kurdistan e il governo centrale iracheno di Baghdad, che da mesi stanno discutendo per arrivare ad un accordo sullo status del Sinjar, sembrano averlo raggiunto, almeno in linea di principio, ad inizio ottobre. Meglio tardi che mai? Dalla caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003, l’Apm ha ripetutamente richiesto uno status speciale per la regione Yezidi del Sinjar, nella speranza che la popolazione locale potesse presto decidere da sola come vuole vivere. “L’articolo 140 della costituzione irachena prevede questa possibilità - ha ricordato l’Apm - che potrebbe permettere alla popolazione Yezidi di essere presto coinvolta in tutte le decisioni sul futuro del Sinjar”. 

Questo a quanto pare è l’unico modo per evitare che gli Yezidi siano ancora una volta abbandonati al loro destino e massacrati dagli islamisti radicali. Nelle scorse settimane sempre l’Apm ha rilanciato una dichiarazione di personalità e istituzioni yezidi in merito all’accordo tra il governo centrale iracheno e il governo regionale del Kurdistan sul futuro della principale area di insediamento yezidi del Sinjar. Nella dichiarazione, firmata giovedì 22 ottobre, si legge che le principali personalità e le istituzioni Yezidi accolgono con favore l’accordo tra Iraq e Kurdistan, tuttavia, essi avanzano richieste concrete ai due governi, come “la fine immediata dei conflitti e la firma di un accordo condiviso sullo status del Sinjar”, due passaggi fondamentali “per garantire alle centinaia di migliaia di profughi Yezidi, che vivono ancora nei campi profughi, un ritorno nella loro patria storica, dalla quale hanno dovuto fuggire in seguito ai brutali attacchi degli islamisti radicali del cosiddetto stato islamico nell’estate del 2014”. Anche la ricostruzione post bellica, con il sostegno internazionale, potrà avere successo solo quando nel Sinjar “verrà istituita un’amministrazione uniforme e stabile” e “tutte le milizie Yezidi saranno integrate in unità legali e regolari dell’esercito iracheno”. Non si tratta, però, di un passaggio facile e solo formale.

Per l’Apm “Molte forze, soprattutto le milizie sciite sostenute dall'Iran, potrebbero cercare di rendere più difficile l'attuazione dell’accordo. Anche l’IS e altre forze radicali sunnite stanno cercando di far valere le loro rivendicazioni di potere nella regione, anche con il sostegno militare dell’esercito turco”. I caccia turchi, specialmente i droni, hanno attaccano ripetutamente il Sinjar, ufficialmente con la scusa di combattere contro le milizie del PKK curdo, “in realtà il loro obiettivo sono gli attivisti Yezidi che vogliono proteggere la regione del Sinjar dagli attacchi dello IS”. La speranza, capiremo quanto vana in questi mesi, è che il Sinjar non diventi oggetto di una nuova disputa geopolitica tra l’Iran sciita e la Turchia sunnita, costringendo la popolazione Yezidi a rivivere secoli di persecuzioni, espulsioni e genocidi da parte dei vicini islamici. Per le principali personalità e istituzioni yezidi firmatarie della dichiarazione resa pubblica lo scorso mese, tra le quali spicca la dott.ssa Mirza Hasan Dinnayi, attivista Yezidi, vincitrice del Premio Aurora per il Risveglio dell'Umanità nel 2019 e membro del Consiglio centrale degli Yezidi in Germania, “Adesso la gente è stanca della guerra, vuole finalmente vivere in pace e tranquillità. Pertanto i governi di Baghdad e del Kurdistan sono chiamati a risolvere i conflitti sul Sinjar in modo pacifico e con la partecipazione attiva della popolazione Yezidi”. Per rendere possibile nella regione un futuro sicuro ed autonomo adesso anche la NATO, come tutta l’Unione Europea, non dovrebbero più tollerare gli attacchi di un loro Paese partner alla popolazione kurda. Un rinnovato credito al sempre più dispotico e radicale Erdogan farebbe solo il gioco dell’IS.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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