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Giuseppe Conte al capezzale del Libano
Religione
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Foto: Unsplash.com
Il Libano non ha pace. “Un enorme incendio è scoppiato al porto di Beirut a poco più di un mese dall'esplosione che ha devastato la città, scatenando il panico tra i residenti ancora traumatizzati. Le fiamme sono divampate vicino all'area distrutta il 4 agosto, accanto al Duty Free dello scalo marittimo. Le cause sono ancora da accertare. Dalle informazioni dei media locali, sembra che il rogo sia scoppiato all'interno di un capannone dove erano stati riposti dei pneumatici.”, ha scritto il 10 settembre La Repubblica. Alcune informazioni dicono che nel deposito c’erano anche delle derrate alimentari destinate alla popolazione sinistrata. Il sospetto di dolo si é fatto largo e, benché non ci siano stati ulteriori danni, il cielo oscurato da un’alta nube nera ha riattivato lacrime, dolore e tristi ricordi ravvicinati.
Questo a pochi giorni (l’8 settembre) dalla visita a Beirut del nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Un viaggio lampo. Accompagnato da una delegazione formata dall’Ambasciatrice d'Italia in Libano, Nicoletta Bombardiere, dal Consigliere politico Ambasciatore Pietro Benassi, dal Consigliere militare, l'Ammiraglio Carlo Massagli, e dalle Consigliere Debora Lepre e Roberta Di Lecce.
A Beirut l'Italia ha una positiva considerazione anche per alcuni punti di forza che la caratterizzano, come il fatto di essere il secondo partner commerciale del Libano, il primo a livello europeo, con un ruolo di leadership in alcuni settore-chiave come idrocarburi e prodotti chimici; da aggiungere la presenza decennale nel Paese dei soldati italiani (oggi un migliaio) di stanza presso il contingente UNIFIL dal 2006. Un apporto all'operazione di peacekeeping che funge da forza di interposizione tra Hezbollah (i potenti musulmani sciiti libanesi) e Israele, a seguito della risoluzione ONU N° 1701.
Una visita per ribadire da vicino la solidarietà italiana ad un Paese amico. "L'Italia continuerà a dare un forte sostegno per la stabilità e per la crescita socio-economica del Libano. Il Libano può contare sull'Italia e il ruolo che l'Italia rivestirà anche in seno all'Ue nella comunità internazionale per dare un contributo per raggiungere questo risultato", le parole del Presidente del Consiglio appena toccato il suolo libanese.
Vicinanza sentita e dovuta che non deve far dimenticare la prevedibile ricostruzione di Beirut, aspetto che già solletica i pur legittimi appetiti del mondo politico/economico/imprenditoriale europeo. Il Presidente francese Macron é stato il più veloce ai blocchi di partenza e nel giro di un mese ha effettuato due viaggi a Beirut, il primo dopo poche ore dall’inizio della tragedia.
Giuseppe Conte non ha potuto liberare appieno la mente dai fatti nostri, intesi come italiani, perché, poco dopo il suo arrivo nel Paese dei cedri, dai giornalisti italiani é partita la fatidica domanda sulla riaperture delle scuole, in Italia. "Io sono fiducioso", è "stata superata la maggior parte delle criticità, i lavori procedono molto bene". Così il premier ha risposto laconico, prima di addentrarsi in problematiche più consone al suo viaggio.
L’internazionalizzazione del pensiero é purtroppo un traguardo ancora lontano, per buona parte della politica e dell’ informazione del belpaese.
L'esplosione di 2700 tonnellate di nitrato di ammonio, dalle cause ancora sconosciute, ha provocato 208 morti, circa 6.000 feriti, 300.000 persone rimaste senza casa, 80.000 edifici danneggiati o distrutti entro un raggio di 3 Km dal porto, 17 ospedali colpiti di cui 4 fuori servizio, 128 scuole inutilizzabili e 480 edifici storici resi inagibili.
Valerie, doppia nazionalità, con discendenza materna di origini italiane, con il marito Jean Mario, ed i figli Talia (12 anni) e Marc Joseph (10 anni), abita nel quartiere cristiano Badaro, a 5 Km a volo d’uccello dal porto, centro dell’esplosione. Con voce ancora tremante ricorda bene quel giorno, quell’ora, quel minuto, quel secondo: “La prima sensazione é stata quella che fosse in atto un terremoto, poi un forte soffio che ci ha fatto perdere l’equilibrio, poi di corsa giù per le scale, mentre le suppellettili di casa cadevano a terra.”
Tutto ciò si è aggiunto ad un’inarrestabile crisi economica pregressa che ha portato al crollo della lira libanese e ad un debito pubblico, in rapporto al PIL, del 170%
L’esplosione é stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo di disperazione, come ha rimarcato ancora Valerie: “noi Libanesi stiamo vivendo una situazione di difficoltà indescrivibile. Da un giorno all'altro, non abbiamo avuto più accesso ai depositi bancari in valuta estera , la lira libanese si è notevolmente svalutata (di 5 volte). Allo stesso tempo, i prezzi sono aumentati enormemente poiché la maggior parte dei prodotti in Libano viene importata e anche il prezzo dei prodotti locali è aumentato. Il che significa che il potere d'acquisto si é notevolmente ridotto e abbiamo iniziato a cambiare le nostre abitudini di consumo.”
Ciliegina sulla torta i milioni di profughi siriani scappati da una guerra infinita. Senza rancore ma con l’amarezza di chi sa che non c’é mai limite al peggio, Valerie ha ribadito come, “la presenza dei profughi Siriani è vista dalla maggior parte dei Libanesi come un ostacolo perché rappresentano quasi la metà della popolazione del Libano, il che non aiuta certo la situazione socio-economica del Paese.”
Kantara, un settimanale radiofonico in lingua francese che riunisce, in tutto il bacino del Mediterraneo, le radio di servizio pubblico membri del COPEAM ( France Bleu RCFM, Inter channel del Marocco, Radio Cairo, Radio Tunis International channel, External radio of Spain, Radio Liban 96.2 e Voice of Palestine International) ha ripreso le sue emissioni il 10 settembre con “Spécial Liban”, mettendo in evidenza, fra l’altro, domande che oggi in Libano tutti si pongono:
“...come sarà il dopo? È possibile sperare in cambiamenti strutturali in una regione dove la posta in gioco geopolitica è molto più grande di questo geograficamente piccolo Paese che vive di una continua perfusione di aiuti internazionali e delle rimesse della sua diaspora?”
La diaspora libanese é una delle più grandi a livello mondiale, sia per la sua anzianità che per il suo numero. Ha saputo trasporre un modello etnico al di fuori del suolo natio, preservando la sua identità e la solidarietà comunitaria. In cifre: da 4 a 14 milioni di persone (se si tiene conto anche della terza generazione) che vivono nei vari continenti (soprattutto in Sudamerica) e 6 milioni scarsi che risiedono in Libano.
Il Capo del governo italiano è stato ricevuto al Palazzo Baabda dal Presidente della Repubblica Michel Aoun. Poi, in successione, ha incontrato il Presidente del parlamento Nabih Berry, il Primo ministro uscente Hassane Diab, nonché il Primo ministro designato Moustapha Adib.
"Il vostro sostegno al Libano è l'illustrazione delle relazioni speciali tra i nostri due Paesi", ha dichiarato il presidente Aoun al suo ospite, secondo l’ufficio stampa della Presidenza. "Ci auguriamo che ci aiutiate ad affrontare le conseguenze della presenza dei profughi, a contribuire alla ripresa del Paese attraverso l'economia e a superare gli effetti dell'esplosione del porto", ha aggiunto il Capo dello Stato, secondo la stessa fonte.
Dal canto suo il nostro Primo ministro ha ribadito che “é una grande sfida, ma con l'impegno delle autorità libanesi a favore di un processo di rinnovamento delle istituzioni e della governance, tutto questo diventa possibile. È quanto chiedono da tempo la società civile e i cittadini”.
Una dichiarazione pungente per la variegata e divisa comunità politica libanese, ma particolarmente apprezzata dall’uomo della strada che affida le sue speranze di rinascita più al mondo esterno che al potere locale.
Un salvataggio in corner del nostro Presidente del Consiglio che ha in parte attenuato la delusione di ONG e esponenti della società civile per il troppo poco tempo loro dedicato nel suo breve soggiorno libanese. ONG e società civile sono al centro dell’interesse del balletto diplomatico internazionale, post esplosione del 4 agosto, dato che sono loro ad aver preso in mano la situazione dopo la tragedia, relegando ad un ruolo, per ora, marginale una classe politica dedita a decennali scontri in un Paese pervaso dal settarismo politico.
Unico Paese del mondo arabo con una percentuale elevata di cristiani (il 40% della popolazione), il Libano è anche il solo Paese arabo la cui Costituzione, nata durante il periodo coloniale, stabilisce l'appartenenza di ogni libanese ad una comunità religiosa. Il “comunitarismo politico” così instaurato prevede che tutte le comunità siano rappresentate in seno allo Stato e concede ai cristiani maroniti la Presidenza della Repubblica e il controllo dell'esercito, ai musulmani sumniti la Presidenza del Consiglio, con il Vice-Presidente cristiano ortodosso, e ai musulmani sciiti la Presidenza del Parlamento.
Alla domanda se oggi in Libano ci sia più rassegnazione o speranza Valerie ci ha risposto che, “i sentimenti sono contrastanti. Alcune famiglie se ne sono andate per sempre. Altre rimangono, disperate, ma continuano a vivere come possono e infine quelle che conservano la speranza, che senza dubbio viene dall'amore che hanno per il loro Paese .”
Ferruccio Bellicini

Pensionato, da una quarantina d’anni vivo nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo: Algeria, prima, Tunisia, ora. Dirigente di una multinazionale del settore farmaceutico, ho avuto la responsabilità rappresentativa/commerciale dei Paesi dell’area sud del Mediterraneo, dal Libano al Marocco e dell’Africa subsahariana francofona. Sono stato per oltre 15 anni, alternativamente, Vice-Presidente e Segretario Generale della Camera di commercio e industria tuniso-italiana (CTICI). Inoltre ho co-fondato, ricoprendo la funzione di Segretario Generale, la Camera di commercio per lo sviluppo delle relazioni euro-magrebine (CDREM). Attivo nel sociale ho fatto parte del Comitato degli Italiani all’estero (COMITES) di Algeri e Tunisi. Padre di Omar, giornalista, co-autore con Luigi Zoja del saggio “Nella mente di un terrorista (Einaudi 2017).