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Siamo ecologici, ma facciamo acqua da tutte le parti
Popoli minacciati
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Foto: Unsplash.com
Per il secondo anno consecutivo l’Italia si è confermata, a livello mondiale, tra i Paesi con il maggior grado di consapevolezza riguardo i temi ambientali, anche se aumenta lievemente lo scetticismo sulle cause della crisi climatica, un dato che mostra la necessità di non abbassare l'attenzione sui temi ecologici e di continuare ad investire in iniziative per formare e sensibilizzare l'opinione pubblica. È quanto emerge dai risultati del “Barometro della Trasformazione ecologica”, un sondaggio condotto anche quest’anno da Veolia in collaborazione con la società di consulenza Elabe che ha coinvolto un campione mondiale di 29.500 individui in 26 paesi e ha interrogato il campione sul grado di accettabilità delle soluzioni sostenibili, l’analisi degli ostacoli e le leve d’azione più condivise per accelerare la transizione ecologica. Ne emerge che noi italiani siamo ben consapevoli dei rischi per la salute del cambiamento climatico capace di determinare un aumento delle malattie, una ridotta qualità del cibo, effetti negativi per la salute mentale degli individui e il generale peggioramento della qualità della vita. Il 75% del campione italiano si è anche dichiarato convinto che serva da parte della politica un forte aumento di azioni concrete per la trasformazione ecologica perché "Ci costerà meno che l’inazione ambientale", una dato che va ben oltre la media mondiale del 66%! Per Emanuela Trentin, CEO di Veolia, è chiaro che oggi “9 italiani su 10, sono convinti che le autorità locali, le imprese, i governi, le istituzioni internazionali e i singoli individui debbano trovare e attuare soluzioni convergenti riguardo ai temi ambientali”.
L’indagine sembra sfatare un aspetto importante della crisi climatica, quello che aveva ben sintetizzato lo scrittore americano Jonathan Safran Foer secondo il quale “l’emergenza ambientale non è una storia facile da raccontare e, soprattutto, non è una buona storia: non spaventa, non affascina, non coinvolge abbastanza da indurci a cambiare la nostra vita”. Non è insomma preoccupante come un letale virus, o delle disumane guerre alle porte dell’Europa o in Medio Oriente. In realtà il secondo questa analisi, l’opinione pubblica italiana sugli impatti dei cambiamenti climatici mostra come i fattori clima alteranti non siano più percepiti come astratti per un’ampia percentuale di popolazione, ma si siano oggi un argomento più tangibile con conseguenze chiare nel breve termine. In particolare in merito al tema della decarbonizzazione dal Barometro emerge che: 8 italiani su 10 sono disposti a pagare di più per l’energia prodotta localmente da rifiuti non riciclabili e da biomasse capaci di ridurre le emissioni di Co2, garantendo la sicurezza dell’approvvigionamento locale e riducendo la dipendenza dai paesi produttori di combustibili fossili; che il 54% degli italiani ritiene che un’azione ecologica vincente debba coniugare efficienza e innovazione; che per 9 italiani su 10 la trasformazione ecologica non può e non deve essere raggiunta senza il pieno coinvolgimento dell’opinione pubblica e di tutti gli stakeholder: “solo attraverso un impegno congiunto di autorità locali, aziende, governi, individui e istituzioni sarà possibile trovare e implementare soluzioni per contrastare il cambiamento climatico”.
Eppure nonostante queste consapevolezze "verdi" facciamo ancora acqua! In Europa, infatti, l’Italia è tra i Paesi peggiori come dispersione idrica con l'incredibile dato del 42% e se oggi il problema della siccità è esteso e globale, in Italia il quadro si fa più difficile considerando lo stato delle infrastrutture idriche visto che il 60% è vecchio di oltre 30 anni e il 25% supera addirittura i 50 anni. Secondo l’Agenzia europea per l’Ambiente ogni anno il 20% del territorio europeo e il 30% dei suoi abitanti siano soggetti a stress idrico. Nel 2022 (ultimo dato ufficiale dell'Agenzia) la situazione si è ulteriormente peggiorata, specialmente nei mesi estivi, con oltre il 60% del territorio europeo in condizioni critiche. Se questo è il quadro generale europeo, l'Italia è tra i fanalini di coda e ha perdite di risorsa idrica pari solo alla Romania, seguite da Irlanda e Bulgaria, dove le infrastrutture sono vecchie almeno quanto le nostre. In cima alla classifica per efficenza idrica ci sono i Paesi Bassi con solo il 5% di perdite, seguiti da Germania (6%); Danimarca (8%); Estonia (12%); Finlandia (17%); Repubblica Ceca (18%); Francia (20%); Belgio e Svezia (21%); Spagna e Uk (23%). Sempre facendo confronti europei, l’Italia è il secondo Paese dell’Unione per prelievi di acqua ad uso potabile (il doppio della media europea, tre volte la Germania) e un consumo pro capite giornaliero pari a 220 litri al giorno. Un dato incredibile, e come se non bastasse nonostante una qualità dell'acqua mediamente buona, ogni italiano consuma 200 litri all’anno di acqua in bottiglia. Si tratta di abitudini che impattano sull’ambiente, anche per la quantità di plastica prodotta e circolante.
Come mai la politica non ha mai messo mano alla salvaguardia di questo prezioso bene comune? A quanto pare la tariffa italiana è tra le più basse d’Europa e per questo non si fanno investimenti significativi e si preferisce mantenere la tariffa ai minimi, scelta più popolare dal punto di vista del consenso dei cittadini, anche se meno razionale dal punto di vista industriale. La spesa media dell’utenza domestica per il servizio idrico nel 2022 è stata di 326 euro (2,17 euro per metro cubo) Iva inclusa, per un consumo di 150 metri cubi l’anno. Migliorare gli investimenti e svecchiare la rete idrica dovrebbe essere dunque una priorità nazionale e se è vero che c’è il Pnrr che con i suoi investimenti previsti nel settore delle infrastrutture ci dovrebbe aiutare, certamente la presenza nel Belpaese di 2.400 gestori degli acquedotti non aiuta ad avere criteri, qualità ed efficienza degni di un paese europeo.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.