COVID-19 lontano da casa: Nigeria

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Foto: Lucia Michelini ®

Continuiamo la serie di testimonianze che dall’Italia ci portano in Africa, continente vicino alle coste europee ma dal punto di vista mediatico più distante che mai. 

Dopo due interviste ad esponenti della diaspora camerunense ed algerina, parliamo oggi di Nigeria per capire cosa stia succedendo in merito alla pandemia virale da Covid-19 nello Stato più popoloso dell’Africa. 

Accetta di offrire una sua testimonianza un signore nigeriano residente nel bellunese da ormai più di vent’anni.“Non è stato facile il lockdown in Italia”, spiega. “I miei figli hanno seguito le lezioni con i tablet”, che sfoggiano con quattro sorrisi pieni di orgoglio. “Guarda, il mio è blu!”, urla contento il più piccolo’. 

L’intervistato con cui abbiamo la fortuna di parlare è originario della Nigeria meridionale, al momento in piena stagione umida. “Nel mio Paese i conti della pandemia andranno fatti a fine settembre, quando le piogge saranno finite”, afferma. “Le temperature ora sono si sono abbassate, le condizioni igieniche sono peggiorate e la gente inizia ad ammalarsi di malaria e a prendere il raffreddore, cosa che indebolisce le vie respiratorie. A questo si aggiunge il problema della stigmatizzazione sociale e quindi molte persone, anche se hanno la febbre, difficilmente si recano in ospedale”. 

Continua: “Chi è senza lavoro non ha dei sussidi di disoccupazione e chi gestisce una piccola attività autonomamente è costretto ad arrangiarsi in questo periodo critico. Con il lockdown non si poteva vendere più nulla per strada, vedremo ora con la graduale riapertura delle attività commerciali come sarà l’evoluzione del virus, ricordando che la stagione delle piogge durerà fino a settembre”.

Mentre scriviamo questo articolo, ai primi giorni di agosto, la Nigeria conta più di 44.000 casi, ma sono sicuramente sottostimati poiché nelle baraccopoli e nelle zone meno coperte dall’assistenza sanitaria non si può sapere quante persone contagiate ci siano. Al 28 luglio i tamponi fatti sono arrivati ad appena 1.3 su 1000 persone. 

“Tuttavia, il male peggiore della Nigeria non è il coronavirus, ma l’economia. La società è divisa in due classi prevalenti, i ricchi e i poveri, mentre le persone nel mezzo sono pochissime. La maggior parte della gente vive alla giornata, cerca di che mangiare oggi e la sera inizia a pensare al domani”, rimarca l’intervistato.

Riusciamo ad avere delle informazioni in tempo reale anche da Abuja grazie ad un giornalista del Premium Timesche preferisce restare anonimo: “La Nigeria è il terzo paese africano più colpito dalla pandemia, i casi stanno aumentando soprattutto a livello comunitario e ad oggi è Lagos ad avere il maggior numero di infetti. Fortunatamente, non ci sono più tensioni sociali dovute all’obbligo di confinamento, ma inizialmente la polizia ha fatto uso della forza, senza il minimo rispetto dei diritti umani. Adesso, la gente non vive più confinata, anche se permane un coprifuoco notturno dalle 22.00 alle 5 di mattina e le frontiere aeree rimangono ancora chiuse”.

Continua il giornalista: “La vita sta tornando a poco a poco alla normalità, seppur con diverse restrizioni imposte dal Governo centrale, come il divieto di organizzare grandi assembramenti in occasione di feste religiose e festival, e va osservato il distanziamento sociale. È raccomandato anche il lavaggio frequente delle mani, ma chiaramente questo è possibile solamente dove si può trovare dell’acqua pulita. Nelle zone rurali, purtroppo, non è solo l’acqua a mancare, ma anche l’informazione. Non è stata fatta una sensibilizzazione capillare sul rischio pandemia e sulle misure di protezione, con la conseguenza che molti nigeriani (cosa valida anche per i distretti urbani in realtà) negano ancora l'esistenza del virus.”

L’economia sta ripartendo un po’ alla volta e i mercati riaprono, ma purtroppo alcune attività non riusciranno più a riprendersi del tutto e una buona fetta della popolazione si troverà sicuramente più esposta alla fame. 

“A livello nazionale c’è stato un programma di distribuzione cash e di beni alimentari, ma è pieno di controversie in quanto solamente poche fasce della popolazione hanno beneficiato di questi aiuti”, continua il giornalista. “Chiaramente tutto ciò avrà delle ripercussioni non indifferenti sulle migrazioni. Già prima del coronavirus molte persone se ne andavano a causa delle precarie condizioni economiche, sociali e politiche, le conseguenze del virus aggraveranno ancora di più la situazione.”

E, purtroppo, non è finita qui: oltre a povertà e immigrazione, altri effetti della pandemia si vedranno molto probabilmente al momento della riapertura delle scuole, cosa che per qualcuno appare addirittura come una condanna a morte. Infatti, secondo Hamzat Lawal, fondatore dell'organizzazione no profit Connected Development (CODE), sarà una scelta suicida riaprire le scuole quando il Covid-19 potrebbe ancora diffondersi. Secondo lui, la qualità infrastrutturale nelle scuole pubbliche nigeriane è talmente deplorevole (molte scuole non hanno i servizi igienici, spesso i tetti cadono a pezzi, le classi sono sovraffollate e sui pavimenti si può trovare sterco di capra) che sarà impossibile garantire i minimi standard igienici e un adeguato distanziamento sociale.

Lucia Michelini

Sono Lucia Michelini, ecologa, residente fra l'Italia e il Senegal. Mi occupo soprattutto di cambiamenti climatici, agricoltura rigenerativa e diritti umani. Sono convinta che la via per un mondo più giusto e sano non possa che passare attraverso la tutela del nostro ambiente e la promozione della cultura. Per questo cerco di documentarmi e documentare, condividendo quanto vedo e imparo con penna e macchina fotografica. Ah sì, non mangio animali da tredici anni e questo mi ha permesso di attenuare molto il mio impatto ambientale e di risparmiare parecchie vite.

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