COVID-19 lontano da casa: Algeria 

Stampa

Foto: Lucia Michelini ®

Siamo a Longarone, Belluno, l’estate è appena iniziata e piove. Il meteo del remoto paese di montagna è sicuramente molto diverso da quello delle calde terre dove è cresciuta Assia Belhadj, scrittrice italo-algerina.

Mi trovo qua con l’idea di dare voce a vari esponenti delle comunità africane presenti in Italia in questo periodo di pandemia globale. Una loro testimonianza su come vivano la situazione lontano da casa è un’occasione importante per capire meglio cosa stia succedendo in Africa, continente tanto immenso quanto trascurato a livello mediatico, ma non da Unimondo. Dopo un primo viaggio in Camerun, parliamo oggi di Nord Africa. Qualche settimana fa, grazie a un articolo del nostro corrispondente da Tunisi, Ferruccio Bellicini, abbiamo parlato di come il Covid-19 ha colpito il Maghreb, soffermandoci soprattutto sui risvolti economici; poi abbiamo affrontato la situazione politica algerina. Ritorniamo a parlare del gigante maghrebino questa volta con uno sguardo che viene dall’Italia.

“L’Algeria è ancora sotto confinamento parziale, si può uscire di casa solo durante il giorno per lavorare, fare la spesa, ma poi devi rientrare. Nella capitale, dove vive mia mamma, ci sono ancora molti contagi e il Paese ne conta ad oggi più di 20.000. Algeri e Blida sono state molto toccate, di più rispetto all’entroterra rurale”, spiega Assia.

Come è la situazione sanitaria in Algeria? “Ci sono tanti problemi purtroppo, le strutture ospedaliere devono ancora organizzarsi per fronteggiare quest’emergenza e in molte città manca personale medico”, afferma Assia. “Avrei voluto fare visita alla mia famiglia quest’estate, andare lì con i miei figli, ma per ora è impensabile”, fa sapere Assia. Infatti un aumento dei casi è appena stato registrato e le frontiere aeree che sarebbero dovute riaprire il primo luglio per il momento restano chiuse.

Nel Paese, però, a destare preoccupazioni non è solo la presenza del Covid-19, ma anche quella dei manifestanti antigovernativi, momentaneamente spariti dalla scena mediatica a causa del periodo di isolamento. A fine giugno, per la prima volta dopo mesi, nelle zone non più sottoposte a confinamento la gente ha ricominciato a tornare in strada. 

I manifestanti chiedono un rinnovo del corpo governativo in carica, rifiutando i risultati delle elezioni di dicembre 2019 che hanno portato al potere Abdelmadjid Tebboune. Gli stessi dimostranti, con il movimento “Hirak”, avevano portato alla caduta in aprile dello scorso anno di Bouteflika, in carica da 20 anni.

Spiega la scrittrice. “L’Algeria e piena di risorse, ma come altri stati africani è povera, arretrata. Strutture, sanità, educazione. La malnutrizione è ancora un grande problema e c’è chi ogni giorno deve faticare per ottenere del pane. Gli alimenti di base costano molto oppure sono insufficienti. Ad esempio, le lenticchie e i piselli sono estremamente cari, mentre pane e latte scarseggiano. Ma ripeto, l’Algeria è uno stato ricco. Purtroppo, non solo nel mio Paese ma anche in altre realtà, quando la gente è impegnata a cercare da mangiare, non avrà tempo per pensare ad altro. In Algeria molte persone sono costrette a vivere di piccoli lavoretti, spesso in nero e questa è la parte della popolazione che più ha sofferto e sta ancora continuando a soffrire per le conseguenze legate alla pandemia virale. Fortunatamente sono nate molte associazioni con lo scopo di offrire alimenti essenziali. Ma gli aiuti governativi sono mancati, non ci sono stati sussidi come in Italia.”

Quest’anno il Ramadan è coinciso con il periodo di confinamento, come l’hai vissuto? “Il Ramadan è stato sicuramente diverso, ma io e la mia famiglia l’abbiamo vissuto in modo positivo. Ci siamo organizzati a casa, abbiamo approfondito di più la nostra relazione e abbiamo fatto più cose assieme. La preghiera è stato un momento comunitario. Ogni giorno abbiamo studiato un valore dell’Islam provando poi a metterlo in pratica nella vita quotidiana. Per me questa pandemia è stata in parte un’occasione per fermarci, riflettere e pensare, mentre per altri è stata un pretesto per esercitare della cattiveria. In tutto il mondo, infatti, nel corso del confinamento, sono aumentate le violenze sulle donne”. 

Assia Belhadj ha da poco scritto un libro “Oltre l'hijab. Una donna da straniera a cittadina che parla del suo processo di inserimento nel tessuto culturale italiano. “Alle ragazze arabe dico sempre di non mettere il matrimonio come unico progetto nella loro vita. Raramente guidano, parlano male l’italiano, non escono di casa, non studiano e così rimangono dipendenti dagli uomini che percepiscono la loro debolezza e la usano. A volte mi arrabbio, perché noi donne risentiamo di una costante mal interpretazione appositamente voluta dell’Islam. Ma per il Corano l’uomo e la donna hanno gli stessi diritti. L’Islam non è un velo che metti in testa”.

“Io e mio marito abbiamo cercato di insegnare ai nostri tre figli, due bambine e un bambino, l’importanza della parità di genere: nel corso del lockdown un giorno a testa qualcuno si occupava di mettere in ordine la cucina, la sala da pranzo e ognuno doveva sistemare la sua camera”. Dal Covid-19 la discussione volge a temi legati al mondo dell’educazione che meritano comunque di essere ascoltati: “È importante che mio figlio capisca che la cucina e le faccende domestiche non sono una prerogativa femminile. Non voglio che lui si aspetti di avere una moglie che lo serva in tutto e per tutto e queste cose vanno insegnate ai bambini fin da piccoli, come la violenza sulle donne, se vogliamo prevenirla dobbiamo partire dall’educazione all’interno delle nostre case.”

Continua Assia: “Oltre all’aspetto domestico cerco di far capire a mio figlio che deve avere rispetto delle sue sorelle. Vanno create delle generazioni di ragazzi non violenti, i figli maschi vanno istruiti da subito insegnando loro che non ci sono generi superiori o inferiori. Inoltre, dobbiamo far crescere delle ragazze che credano in sé stesse, che non si sentano seconde e sottomesse ai fratelli o agli altri uomini della società. L’educazione comincia da casa. I figli imparano tra fratelli e osservando le relazioni tra i genitori. Io e mio marito siamo molto attenti a ciò che trasmettiamo ai nostri figli, stiamo attenti ad ogni dettaglio. Avere e crescere dei figli è per noi una grande responsabilità.”

“Le famiglie hanno molti problemi da affrontare quotidianamente e l’educazione dei figli viene spesso trascurata. È vero che i figli sono i nostri, ma un giorno saranno dei cittadini, diventeranno persone della società che con il loro comportamento ne determineranno l’andamento. Quello della mamma e del papà è un lavoro importante e dall’educazione che noi impartiamo dipenderanno i connotati che prenderà la società futura”, conclude Assia Belhadj.

Ultime notizie

La scheggia impazzita di Israele

11 Settembre 2025
Tel Aviv colpisce, implacabile, quando e come gli pare, nella certezza dell’impunità interna e internazionale. (Raffaele Crocco)

Eternit e panini kebab

10 Settembre 2025
Un pellegrinaggio sui campi da rugby italiani, con lo scopo di condividere e raccontare le capacità riabilitative, propedeutiche e inclusive della palla ovale. (Matthias Canapini)

I sommersi!

08 Settembre 2025
Entro il 2100 il livello marino sulle coste italiane potrebbe aumentare di circa un metro. (Alessandro Graziadei)

Stretching Our Limits

06 Settembre 2025
Torna Stretching Our Limits, l’iniziativa di Fondazione Fontana a sostegno delle attività de L’Arche Kenya e del Saint Martin.

Il punto - Il balletto delle "alleanze fragili"

05 Settembre 2025
Nel balletto delle “alleanze fragili”, una partita fondamentale la sta giocando il genocidio a Gaza. (Raffaele Crocco)

Video

Serbia, arriva a Bruxelles la maratona di protesta di studenti per crollo alla stazione di Novi Sad