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C’era una volta la pirateria… E adesso?
Popoli minacciati
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C’era una volta la pirateria. Poi sono arrivati i pattugliamenti in mare e i “marò” (per alcuni sappiamo come "non" è andata a finire) e con il ricorso a guardie armate a bordo dei natanti, sicuramente, almeno per quanto riguarda le coste somale, il fenomeno che nel 2011 contava ben 28 imbarcazioni e 700 persone sequestrate è praticamente scomparso. Ora però, dopo anni in cui aveva segnato un calo, il fenomeno della pirateria torna a crescere e non solo in Somalia. A testimoniarlo è il recente rapporto dell’International Maritime Bureau (IMB), l’organismo della Camera di Commercio Internazionale che monitora proprio i fenomeni di pirateria. Nel primo semestre del 2015 si sono verificati, in tutto il mondo, 134 incidenti legati ad atti di pirateria, con un incremento del 15,5% rispetto ai 116 della prima metà del 2014, che si era concluso con 245 attacchi registrati, contro i 264 del 2013. L’IMB, nel report, ha spiegato come “nei primi sei mesi del 2015 sono stati presi in ostaggio 250 marittimi, 14 dei quali sono stati aggrediti, 10 rapiti, nove feriti e uno ucciso”. Un fattore positivo per l’Italia è che tra gennaio e giugno non risultano navi tricolori attaccate, mentre nello stesso periodo del 2014 erano state vittime dei pirati ben quattro unità italiane.
La pirateria quindi non è ancora morta e il Sudest asiatico è oggi il luogo più pericoloso per questo tipo di crimine. “Qui proseguano i sequestri di piccole petroliere impiegate in traffici costieri, con una media di un attacco ogni 15 giorni”. Le statistiche dell’IMB mostrano “come oltre un terzo degli incidenti registrati nel semestre sia avvenuto al largo delle coste indonesiane”. Tuttavia, la cooperazione tra le autorità della Malesia e quelle de Vietnam, ha sottolineato l’IMB sta funzionando e le azioni dei pirati non portano a spargimenti di sangue. Per la maggior parte si è trattato di assalti di basso livello, limitati a furti sulle navi, gli stessi registrati sia al largo del Bangladesh e in particolare presso Chittagong, con 10 segnalazioni nel secondo trimestre di quest’anno, sia al largo della Nigeria, dove si sono registrati fino a giugno 11 incidenti.
E in Somalia? L’organismo di controllo della pirateria ribadisce che “prosegue l’incertezza sul livello di sicurezza del Corno d’Africa” ed “Esorta i comandanti delle navi a mantenere elevata la vigilanza e ad applicare tutte le precauzioni prescritte, quando transitano in quelle acque”. Il “problema pirati” qui ha radici profonde e lontane. Per il comandante di lungo corso Arrigo Garipoli “I Pirati sono nati dopo che noi del mondo occidentale abbiamo impoverito quell’area scaricando in mare rifiuti tossici, se non radioattivi, che hanno fatto una moria di pesci. I pescatori somali stanchi e arrabbiati hanno incominciato ad attaccare quelle navi che ritenevano scaricare i prodotti suddetti, si sono accorti ben presto che le navi non erano cosi difficili da abbordare grazie anche alla riduzione di personale”. Da pescatori affamati a delinquenti patentati il passo non era scontato, ma il business ha attirato anche chi con i destini di questi pescatori aveva poco a che fare.
Il picco del fenomeno della pirateria in Somalia raggiunto nel 2011 è considerevolmente diminuito grazie ai pattugliamenti in mare e al ricorso a guardie armate a bordo dei natanti. Ma ora che la situazione è più tranquilla e sembrava pacificata siamo tornati a depredare i loro mari. I pirati somali hanno sempre giustificato le azioni di pirateria con la difesa delle acque somale dalle attività di pesca illegale, ma al calo di casi di pirateria ha corrisposto un puntuale aumento delle attività ittiche illegali a meno di cinque miglia dalle coste somale. “La pesca illegale da parte di imbarcazioni straniere al largo delle coste somale minaccia l’economia delle comunità di pescatori e rischia di alimentare il ritorno alla pirateria”. La situazione, secondo gli esperti, è tornata a essere quella che era poco prima che il fenomeno si manifestasse, con il rischio che si riattivi lo stesso circolo vizioso a cui si è assistito in passato. Questo è quanto si legge sul Secure Fisheries, uno studio presentato lo scorso 16 settembre dall’organizzazione non governativa statunitense One Earth Future Foundation.
Secondo quanto si legge sul Secure Fisheries “le imbarcazioni da pesca straniere, che operano nelle acque somale senza permesso, trasportano in media tre volte più personale di quelle dei pescatori somali”. Si stima, grazie a riprese con il satellite e studi di settore, che catturino circa 132.000 tonnellate di pesce all’anno, rispetto ai somali fermi a 40.000 tonnellate. Il risultato è che “Le acque somale sono sottoposte a ritmi di pesca insostenibili sia dal punto di vista economico sia per lo stress sugli stock. I pescherecci stranieri, quindi, stanno depredando le risorse faunistiche del paese impedendo ai somali di beneficiare della ricchezza delle loro acque marine”. “Queste sono le condizioni che avevano fatto iniziare le attività di pirateria”, ha riconosciuto Alan Cole, dell’Ufficio Onu per la droga e il crimine, ammonendo sul rischio di una loro ripresa. Solo il 27 marzo scorso i pirati somali hanno sequestrato una nave iraniana che stava pescando illegalmente al largo della Somalia. Forse dovremmo chiederci più spesso cosa abbiamo contribuito a provocare nel mondo quando ascoltiamo dell’esodo di migranti che affollano i confini della Fortezza Europa. Davvero possiamo oggi negare accoglienza a chi fugge da quella miseria e disperazione che porta anche la nostra firma?
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.