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Le derive politiche cambogiane…
Giovani
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Foto: Unsplash.com
Il 14 gennaio a Phnom Penh si è svolta la prima udienza del processo per “tradimento” contro decine di attivisti, nel contesto di una serie di procedimenti contro oppositori e voci critiche promossi dal Governo del primo ministro Hun Sen per “silenziare la minaccia” di quanti vorrebbero un'alternativa al “monopolio politico” della leadership del Cambodian People’s Party (Cpp). I 61 imputati sono tutti affiliati al partito di opposizione Cambodia National Rescue Party (Cnrp), che è stato sciolto nel 2017 e il suo leader Kem Sokha arrestato prima delle elezioni dell’anno successivo per “tradimento e incitamento alla rivolta”. Fra le accuse rivolte a Sokha aver “cospirato” con gli Stati Uniti per cacciare il premier Hun Sen, fra i più fedeli alleati della Cina nel Sud-est asiatico. La messa al bando del Cnrp ha permesso al Primo ministro Hun Sen e al Cpp di vincere le elezioni parlamentari e rimanere al potere, pur sollevando le critiche e le preoccupazioni della comunità internazionale per le violazioni di diritti umani e civili. Buona parte dei militanti che hanno ricevuto la convocazione in aula non erano però presenti perché già fuggiti all’estero per evitare di subire un processo fazioso, politico e dalla dura condanna. Se per Theary Seng, avvocato americano di origine cambogiana, fra gli imputati a processo, “il vero scopo delle accuse è quello di silenziarci” con procedimenti che sono un “affronto al giusto processo e un oltraggio allo stato di diritto”, per Mu Sochua, attivista pro diritti umani ed ex vice-presidente del Cnrp, ci sono “motivazioni politiche” dietro ad un processo “utile anche per alimentare la politica del terrore” e “scoraggiare i sostenitori delle opposizioni a manifestare per i loro leader”.
Ma questi 61 attivisti non sono gli unici a pagare le spese di queste “derive politiche cambogiane”. Lo scorso novembre era toccato a due monaci cambogiani abbandonare in gran segreto il Paese e rifugiarsi in Thailandia per sfuggire all’arresto da parte delle autorità. I due religiosi buddisti, Bor Bet e Sim Sovandy, vivevano nel tempio buddista di Prayuvong, a Phnom Penh, e hanno abbandonato la struttura il 4 agosto, nascondendosi nella giungla lungo il confine con la Thailandia. Bet e Sovandy sono rimasti nascosti, dormendo all’addiaccio, per mesi mentre erano ricercati da funzionari governativi e poliziotti. Come hanno raccontato a Radio Free Asia (Rfa) si dichiarano vittime di una campagna di intimidazioni lanciata dal Cpp “contro chi ha aderito alle manifestazioni che in luglio hanno chiesto il rilascio del leader sindacale Rong Chhun”. Presidente della confederazione sindacale cambogiana e membro del Cambodian Watchdog Council (Cwc), Chhun è incarcerato con l’accusa di “sedizione” per aver criticato la gestione governativa della controversia sui confini con il Vietnam. Secondo quanto hanno riferito la coppia di monaci ha scelto la fuga perché le autorità “ci stavano dando la caccia” e “volevano costringerci ad abbandonare l’abito monacale”. Essi sono diventati dei “ricercati”, ha spiegato Bet, "soprattutto dopo aver respinto al mittente le forti pressioni esercitate su di loro anche dai vertici del buddismo locale", da sempre molto legato al Governo.
Interpellato da Rfa, il portavoce della polizia della capitale nega vi sia un mandato di arresto a carico dei due religiosi. Tuttavia per il portavoce del movimento Adhoc Soeng Senkaruna è “assai probabile” un loro fermo nel caso di ritorno in Cambogia. Dal loro esilio i due monaci hanno fatto sapere di voler trovare una sistemazione stabile in Thailandia, per poter così rilanciare le loro iniziative e attività a favore della giustizia sociale in Cambogia. Meno fortunati di loro sono stati altri sei attivisti della società civile impegnati con l’ong Mother Nature Cambodia fra i quali vi sono un altro monaco buddista e un celebre rapper e musicista, che in settembre avevano partecipato ad altre manifestazioni di protesta contro le dispute in atto da tempo con il Vietnam per la definizione dei confini fra le due nazioni. In una nota del ministero cambogiano degli Interni si legge che i sei arrestati dovranno rispondere di diversi capi di accusa, in base agli articoli 494 e 495 del Codice penale, fra i quali “l'istigazione a commettere un reato e creare caos nella società” per aver “incitato le persone a fomentare instabilità e rivolte sociali con l’uso dei social media e di altri mezzi di informazione”. L’annoso problema dei 1.228 chilometri di frontiera fra Vietnam e Cambogia è un tema molto sensibile per i cambogiani, che vedono i vietnamiti come i responsabili dei loro guai passati (guerra e Khmer rossi) e presenti (colonizzazione economica). I confini fra i due Paesi non sono mai stati molto precisi e nel 2006 i due governi hanno tentato di definirli cercando un accordo a spese di alcuni gruppi di cambogiani, che hanno perso le loro terre in un’area contesa.
In giugno poi, alla vigilia della Giornata mondiale dell’ambiente 2020, che si celebra il 5 giugno in tutto il pianeta, un gruppo di attivisti sempre di Mother Nature Cambodia aveva rischiato l’arresto per aver promosso una campagna a salvaguardia della natura. Con l’obiettivo di sensibilizzare il governo sulla tutela dell’habitat naturale dell’isola di Koh Kong, nell’omonima provincia, caratterizzata da acque cristalline e un fondale sabbioso, alcuni giovani avevano “addirittura” promosso una biciclettata di protesta. Un progetto sospeso dopo le minacce di arresto da parte delle autorità locali. Per gli ambientalisti l’isola rischia di essere distrutta in nome dello sviluppo selvaggio, come accaduto in altre zone della Cambogia. Da qui la scelta di promuovere un'iniziativa, in concomitanza con la Giornata mondiale dedicata all’ambiente e alla tutela della natura. Commentando la situazione politica cambogiana Rhona Smith, relatrice speciale Onu sulla Cambogia, ha sottolineato l’importanza della tutela del “diritto alla libertà di espressione, alla associazione pacifica” che sono protetti “dalle norme e dagli standard internazionali, così come dalla Costituzione di questo Paese”. “Incoraggio le autorità cambogiane - ha auspicato la rappresentante delle Nazioni Unite - a garantire che questi diritti siano rispettati e protetti e a creare un ambiente in cui gli individui siano in grado di esercitarli”. Consigli per ora ignorati dal Governo di Sen!
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.