Melma fa rima con stella

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Foto: M. Canapini

Lo sgomento della società prende forma in piazza Duca D’Aosta (Milano). I passanti trangugiano di corsa cibo plasticato, grappoli di migranti scuri attendono i propri affari, un senzatetto stramazza al suolo in preda a incubi etilici. Eppure, se è vero che stare al mondo è un casino ma con il rugby va un po’ meglio, tanto vale stringere i denti e raggiungere il Centro Sportivo Saini alla periferia est di Milano, dove ogni martedì e giovedì prende vita il progetto Mud Mad Star, ideato in collaborazione con la società sportiva dilettantistica Stella Rossa Rugby Milano. La pazza stella di fango ha alla base il rugby come attività riabilitativa per gli utenti dei servizi di salute mentale di Milano e provincia. La letteratura scientifica e numerosi studi dimostrano difatti i benefici psicofisici che l’attività sportiva può generare sul paziente, come il miglioramento della risposta metabolica o la riduzione dei sintomi psicopatologici. «Il senso di benessere e l’accrescimento della propria autostima sono solo alcuni degli obiettivi che siamo sicuri di raggiungere attraverso la pratica del rugby» racconta Pietro, detto PJ, reduce dal torneo Snow Rugby di Tarvisio. «Perché Mud Mad Star? Mud come fango, mad come matta e star come stella» interviene Martino Napolitani, laureato in Medicina, operatore in comunità psichiatriche nonché trequarti centro della Stella Rossa. «Il rugby è opportunamente disciplinato, efficace strumento di crescita, stimolo e mantenimento di capacità. Il corpo si relaziona a pieno con la mente aderendovi il più possibile nella gestualità e provando a liberarla dalla repressione in cui galleggia. Il rugby coniuga e armonizza, attraverso il gioco, sia il lavoro individuale che il lavoro di squadra, la cui sintesi migliore si evidenzia nel concetto di sostegno, che non è solo un ammasso di gesti tecnici ma soprattutto il cardine umano di questo sport. Il sostegno è centripeto, per aiutare un compagno bisogna assolutamente avvicinarsi a lui, anche sospingendolo fisicamente o proteggendo il pallone con il proprio corpo. Ciò può diventare un canale di sfogo ed espressione dell’aggressività in maniera funzionale». Insieme a Beppe Filotico, pilone, filosofo ed educatore, Martino ha girato in lungo e in largo varie comunità psichiatriche della zona richiedendo autorizzazioni, permessi e piccoli finanziamenti per mettere in piedi il progetto. Col tempo sono arrivati ad allenare ben trentacinque ragazzi afflitti da vari disturbi e disagi, come schizofrenia, stress, depressione, paranoia, sensazione di eccessiva vulnerabilità. Tutti sono alloggiati presso centri diurni, case private o appartamenti protetti. Nel corso degli anni qualcuno di loro ha cambiato comunità, qualcuno è migliorato, qualcuno è peggiorato.

Le attività della squadra a oggi sono in fase di stallo, durante il quale solo tre  utenti continuano a bazzicare il campo: Andrea, Tommaso e Vincent. Andrea ha movenze da cabarettista, sembra che stia sempre al gioco come un saltimbanco. Tommaso, dai lineamenti orientali, annuisce e segue lentamente i compagni: apre la bocca solo se necessario. Vincent ti segue comunque, che sia col corpo o con lo sguardo, ha il potere di incollarti gli occhi di dosso e non mollarti. Ermetico. Il campo rimane in penombra anche coi fari accesi. I coni di luce illuminano solo i vertici dello spazio, sufficienti per l’essenziale della palla ovale: quattro giri di campo per scaldarsi, due passaggi avanti e indietro, una partitella a misure ridotte per divertire e divertirsi. «Se giochiamo noi, perché loro non possono? Crediamo che il rugby possa aiutare tanti ragazzi nel loro percorso. Gli spieghiamo che dietro a quel caos disorganizzato c’è tanto altro, che un gesto come il placcaggio non è solo difesa, ma anche un modo per attaccare. Spieghiamo anche che il rugby è uno sport in cui le differenze sono valorizzate, tutti trovano uno spazio e un ruolo in cui sentirsi a proprio agio. Inoltre la Stella Rossa sposa in pieno i principi della rete UISP, ossia sport libero e accessibile a tutti. Maschi e femmine, alti e bassi, magri e grassi, casacche a strisce orizzontali e maglie prestate dal calcio, linee diritte e traiettorie paraboliche» sussurra quasi Martino tra un espiro e un allungo. 

Domenica: scarpe malmesse, bende, sbuffi d’incitamento, la Stella Rossa scende in campo con un urlo simile ai giocatori di Casale: «1, 2, 3 Foia!». E giù a placcare, strattonare, cadere. Come le più belle storie di rugby, anche quella di Martino e compagni comincia con tre elementi fondamentali: la passione, un pallone, un campo. Molti dei presenti provengono dal centro sociale Cantiere. Guardando il torneo 6 nazioni in Tv si appassionano, comprano un pallone, si compattano sull’erba del Monte Stella, partecipando nel giro di poco a un campionato UISP insieme ad altre sette squadre del Nord Italia. Era il lontano 2007. Spirito d’avventura, filosofia di sinistra, inclusione sociale. La partita settimanale si conclude 11 a 10 per i padroni di casa, i Chicken Rugby, ma non è tempo per il broncio della sconfitta, perché la Stella Rossa è un’idea. Il sogno di un gruppo di amici cresciuti insieme, che un giorno hanno inventato una squadretta acerba ma accogliente, economicamente accessibile, impegnata nel sociale. Aperta a tutti, anche ai matti di quartiere tenuti spesso in disparte. Un foulard della Brigata Stella Rossa Lupo - nome di battaglia del partigiano Mario Musolesi - corredato da una spilla titoista recuperata in qualche bancarella jugoslava, è il meritato premio da donare al vincitore del man of the match. Živeli! 

Matthias Canapini

Matthias Canapini è nato nel 1992 a Fano. Viaggia a passo lento per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Dal 2015 ha pubblicato "Verso Est", "Eurasia Express", "Il volto dell'altro", "Terra e dissenso" (Prospero Editore) e "Il passo dell'acero rosso" (Aras Edizioni).

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