Perché lo ha fatto? Il punto

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Immagine: Atlanteguerre.it

Tanti a chiedersi: perché lo ha fatto? Perché il presidente ucraino Zelensky ha deciso di invadere la Russia, conquistando villaggi e territorio nella regione di Kursk, alzando il livello già alto di scontro.

È vero: la regione di Kursk è importante dal punto di vista economico. È ricca di industrie metalmeccaniche, chimiche e petrolchimiche. A tutto questo, particolare non irrilevante, si aggiungono le Terre Rare. Certamente, però, – lo dicono gli esperti – nonostante le due settimane di offensiva, Kiev non può sperare di vincere così la guerra, invadendo la Russia. La risposta alla domanda, allora, è probabilmente nelle parole dell’ispettore generale del Pentagono, Robert Storch. Nel suo recente rapporto trimestrale ha affermato che “l'Ucraina non dispone delle risorse necessarie per eguagliare la capacità della Russia di lanciare circa 10.000 colpi di artiglieria al giorno”. Questo, in parole povere, significa sconfitta militare certa per l’Ucraina. Ecco che la strategia di Kiev potrebbe essere, quindi, quella di cercare la “parità” su un possibile tavolo negoziale, mettendo nella trattativa un pezzo di Russia conquistato, esattamente come Mosca sta facendo occupando il Donbass.

Un azzardo che rischia di accelerare lo scontro mondiale fra “Filoamericani” e “Antagonisti”. La situazione internazionale rischia davvero di precipitare, mano a mano che le truppe ucraine avanzano e occupano villaggi russi. L’incapacità di contenere l’invasione, infatti, potrebbe indurre il presidente Putin ad utilizzare alcune armi tattiche nucleari per difendere il proprio territorio. Inoltre, la Bielorussia potrebbe decidere di entrare in scena: proprio in settimana Minsk ha schierato buona parte del proprio esercito alla frontiera ucraina, denunciando una forte mobilitazione delle forze armate di Kiev – ha parlato di 120mila uomini – alla frontiera.

Intanto, sul campo, lo Stato Maggiore ucraino dice che le Forze armate stanno raggiungendo i loro obiettivi a Kursk. L’offensiva, spiegano, continuerà “nella misura necessaria per la sicurezza e la difesa dell'Ucraina”. Dal punto di vista militare, la Russia è effettivamente costretta ad inviare truppe nell’area, spostandole o non inviando rinforzi nella regione ucraina di Donetsk e trovando infinite complicazioni nella logistica. Questo consente agli ucraini di allentare la pressione russa proprio là dove i russi sembravano ormai ad un passo dalla vittoria, cioè nel Donetsk.

Ma la partita si gioca anche altrove ed è questo che complica tutto. Mentre Mosca decide come contenere o respingere Kiev, il Mondo guarda anche al Vicino Oriente, ancora in attesa della reazione iraniana agli attacchi militari israeliani. Teheran, per ora, tace, ma il Nord di Israele è da una settimana sotto attacco da parte di Hezbollah. Almeno 100 razzi e doni hanno bombardato il territorio e le alture del Golan. Più a Sud, i raid israeliani su Gaza continuano, con il dichiarato obiettivo di distruggere Hamas. Le trattative in corso fra Doha e Il Cairo per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza sembrano essere, sempre più, un teatro d’ombre. Tutti si nascondono. Hamas accusa Netanyahu e gli Stati Uniti di non dare sufficienti garanzie sul futuro della Striscia. Il governo israeliano risponde che Israele non si ritirerà da Gaza sino a quando Hamas non verrà completamente distrutta. Nel mezzo ci sono bambini, donne, anziani, uomini che vengono quotidianamente uccisi dalle bombe, in una situazione sanitaria ormai insostenibile.

È una guerra di annientamento, quella di Gaza, ormai così antica da essere diventata per l’opinione pubblica mondiale un’abitudine. Lo sgomento per lo sterminio in atto sta diventando sempre più banalmente rituale, sempre meno convinto. E così i civili muoiono, come muoiono nelle altre 31 guerre che compongono lo scontro mondiale. Ad esempio, nella mai pacificata Libia del dopo Gheddafi, dove sono ripresi gli scontri fra bande per la conquista del potere e per controllare i traffici di esseri umani e di petrolio. O come nel Myanmar dei militari golpisti appoggiati da Pechino. Qui i civili muoiono nel tentativo di resistere. Il governo ha bloccato siti web e reti virtuali (Vpn) per aumentare la repressione e facilitare l’arresto di dissidenti. La Cina ha offerto le tecnologie avanzate di sorveglianza. È nata, di fatto, una dittatura digitale. Così, il Myanmar è diventato un satellite cinese, rifornito di armi da parte di Cina e Russia. E la democrazia resta un sogno che migliaia di esseri umani pagano con la vita.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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