Napolitano e Ratzinger, ossia della vecchiaia

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"Se di vecchiezza la detestata soglia evitar non impetro...". In questo verso di rara potenza Giacomo Leopardi descriveva il suo desiderio di non giungere a quella che, con grigia e banale definizione, chiamiamo oggi "terza età": per lui la vecchiaia, totalmente contrapposta alla giovinezza piena di speranze, significava la noia, l'inverno della vita, la privazione di affetti e di slanci. Era appunto una "detestata soglia".

Come è cambiato il mondo in due secoli! Ora anche dopo i 70 anni, dopo gli 80 anni, si può essere sani e produttivi. Non ci sono più soglie, non c'è più il momento di farsi da parte. Serenamente. Ma la morte fa troppa paura. Dunque siamo indispensabili. Fino alla fine. Oltre qualsiasi limite. Siamo tutti e per sempre giovani. La vecchiaia, detta anzianità, non è più tempo del lento avvicinarsi all'epilogo delle tante sofferenze e delle sparute gioie che hanno costellato la vita, ma è un tenace quanto vano tentativo di rimanere attaccati al mondo, come se gli anni non passassero mai. Lasciare è sempre difficile. Bisogna prepararsi nei momenti opportuni, per poterlo fare senza angoscia. E continuare quotidianamente questa preparazione. Perché la morte, prima o poi, arriva. Rischiando di coglierci all'improvviso, proprio come il ladro della parabola evangelica.

Quando si occupa una posizione di potere, di grande potere, e si giunge quasi ai novant'anni, quel potere diventa questione di sopravvivenza. Succede con enorme evidenza nei regimi dittatoriali quando il leader non può ammalarsi, non può morire... e quando è morto per davvero occorre imbalsamarlo, venerarlo come una divinità, designarlo come "presidente eterno". Succede anche nelle democrazie. Meglio nelle gerontocrazie, il regime oggi presente in Italia. Anche una persona equilibrata e stimata come Giorgio Napolitano è caduta nella grande trappola dell'insostituibilità. La sua disponibilità a continuare nel mandato di Presidente della Repubblica rivela la drammatica situazione in cui versa il paese ma soprattutto l'incapacità di tutta la nostra comunità nazionale di guardare oltre la contingenza. Siamo vecchi, la nostra politica è vecchia. L'Italia sembra essere completamente distaccata dal mondo.

Non si dica neppure che Napolitano ha fatto un gesto di responsabilità sacrificando i propri interessi personali: in realtà, quando si giunge oltre una soglia di età, il ruolo, gli onori, le incombenze, il potere sono ragione di fisica sopravvivenza.

L'unico gesto profetico lo ha fatto Joseph Ratzinger (guarda caso un tedesco...) , dimettendosi da Papa per una cristiana accettazione del trascorrere della vita e per una umile constatazione della necessità di lasciare posto ad altri. Il suo grandissimo atto di coraggio è stato quello di lasciare, non di rimanere. Così è venuto Papa Francesco che parla di giovinezza e che, in poche settimane, ha rivelato le potenzialità nascoste di una Chiesa aperta al mondo, rivitalizzata da quel mondo povero ma sicuramente più vitale del nostro.

Non è bello essere vecchi. Gli acciacchi, i lutti, la perdita di energia e di voglia di fare, la progressiva difficoltà a capire un mondo che cambia inesorabilmente, la constatazione che ogni giorno può essere davvero l'ultimo o segnare il punto di discesa verso la morte, rendono la vecchiaia un tempo spesso triste e malinconico. Per la maggior parte dei pensionati italiani gli ultimi anni di vita sono segnati pure dalle difficoltà economiche. Nel nostro paese sembra poi che occorra essere vecchi per raggiungere determinati traguardi, ma questa è un'illusione ottica: a fronte di pochi arzilli novantenni, tantissimi sono quelli che abitano le case di riposo e languiscono aspettando la fine.

Forse la soluzione è guardare al trascorrere del tempo da un punto di vista cristiano. Insegnare ai giovani che la vita è sempre un dono di Dio o un’offerta della natura, come sono le cose belle di questo mondo: accettare l’esistenza come una possibilità di crescita e di incontro. Ma tutto passa "e quasi orma non lascia"... questa constatazione potrebbe generare angoscia. Oppure dare un grande senso di libertà. La vecchiaia può essere davvero il tempo della libertà e quindi della saggezza. A una condizione però: pensare che in ogni stagione della vita si può imparare qualcosa e insegnare qualcosa, nella consapevolezza che prima o poi dobbiamo lasciare il mondo alle nuove generazioni.

Piergiorgio Cattani

Tratto da: Vitatrentina.it

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