Siamo in guerra, o quasi. Il punto

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Immagine: Atlanteguerre.it

“Filoamericani” contro “antagonisti”: il senso della settimana sembra questo, mentre ancora si combatte ovunque. Ma la riunione in Puglia, ancora in corso, del G7, cioè dei “filoamericani” ad economia più forte, polarizza l’attenzione, inevitabilmente. Da lì, usciranno decisioni e idee che influenzeranno gli scenari di guerra, soprattutto alla vigilia – ricordiamolo – del cosiddetto “incontro per la pace in Ucraina”, convocato in Svizzera, sul monte Bürgenstock, fra il 15 e il 16 giugno.

Andiamo per ordine, ricordando che in Puglia, per il G7 ci sono i capi di Stato e di Governo di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Canada, Germania, Giappone e naturalmente Italia. Questo è il club ristretto, a cui si aggiungeranno gli invitati, che sono tanti e illustri: si parte da papa Francesco, una prima volta assoluta questa, al presidente turco Erdogan, quello argentino Milei e tanti altri. Ovviamente, ci sarà anche il presidente ucraino Zelensky, che dovrebbe incassare un assegno di 50miliardi di dollari per la ricostruzione del Paese a guerra finita.

Quale sarà il documento finale lo vedremo. Intanto, pare certo che “filoamericani” ed amici vogliano ribadire un concetto: siamo in guerra, o quasi. Quindi, punto fondamentale del documento conclusivo dovrebbe essere – lo dicono alcuni diplomatici – il ribadito sostegno politico e militare all’Ucraina contro l’antagonista Russia, con un impegno concordato ad aumentare le forniture di armi a Kiev. Probabile anche un monito alla Cina, la leader del fronte “antagonista”, chiedendole di non fornire più a Mosca materiali utili a costruire armi.

Pechino, a dire il vero, ha sin qui negato qualsiasi tipo di fornitura di questo genere, ma tant’è: il G7 ribadisce il solco fra i due Mondi e i leader sono decisi a mostrare i muscoli. Una posizione che certamente non aiuterà i lavori dell’incontro per la pace convocato in Svizzera. La Russia non sarà presente, così come mancherà la Cina. Pensare che davvero possano nascere da lì i presupposti per un negoziato fra Kiev e Mosca appare difficile.

Ma torniamo al G7. Si parlerà anche di Africa e di cambiamenti climatici, ma è stato annunciato spazio anche per la guerra a Gaza. Dovrebbe essere confermato l’appoggio alla roadmap definita dal presidente statunitense, Biden e accolta dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. Verrà, poi, chiesto ad Hamas di accettare l'accordo di cessate il fuoco e ad Israele di allentare – attenzione: non di fermare - l'escalation di una "offensiva militare su vasta scala" a Rafah, in linea con le indicazioni provvisorie ordinate dalla Corte internazionale di giustizia dell'Aja.

L’impressione, se tutto ciò verrà confermato, è che i 7 Grandi, come si definiscono, abbiano tutto fuorché l’intenzione di trovare reali soluzioni negoziali allo scontro mondiale. Le proposte appaiono assolutamente “di parte” e impositive, scarsamente efficaci per aprire finestre di dialogo. Non a caso, il presidente russo Putin ha pensato di rispondere al G7 con una provocazione che sa d’antico: schierando navi militari russe dotate di missili ipersonici nelle acque di Cuba.

Il pensiero – almeno per i meno giovani – corre alla grande crisi dei missili a Cuba, nel 1962. Allora si rischiò la guerra nucleare, con l’Unione Sovietica che aveva collocato missili atomici nella Cuba di Fidel Castro, scatenando la reazione dell’allora presidente statunitense Kennedy. Alla fine, si trovò un accordo. Ora la crisi è meno grave dal punto di vista militare, ma l’intesa fra Stati Uniti e Russia appare impossibile. Putin, per altro, mette il carico, con le esercitazioni nucleari in corso in Bielorussia.

Mentre tutto questo accade, in Ucraina si continua a morire. La situazione al fronte è quella definita nelle ultime settimane, con la pressione russa che aumenta, gli ucraini sulla difensiva e i continui bombardamenti ad installazioni ed edifici civili ucraini. Si muore e mentre accade, il segretario generale della Nato, Stoltenberg, pensa di trovare una soluzione invitando i membri dell’Alleanza a “modernizzare il deterrente nucleare”.

Più lontano, a Gaza, Israele continua bombardare il Sud della striscia. I civili palestinesi morti superano i 37mila, i feriti sono 85mila. Secondo le organizzazioni internazionali, almeno 3mila bambini sono, oggi, a rischio morte di fame. Una situazione insostenibile, che non trova soluzioni diplomatiche, nonostante le pressioni internazionali e a dispetto della crisi politica israeliana. Il segretario generale dell’Onu, Guterres, per l’ennesima volta ha dichiarato che il ciclo della guerra a Gaza va fermato e che tutto questo orrore non può essere tollerato. Parole forti, che nessuno vuole ascoltare.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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