Isolato ma accogliente

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Immagine: Associazioneram.it

L’Iran diviso tra l’immagine oscurantista che di sé proietta il regime degli ayatollah, al potere dal 1979, e la sorprendente modernità di intere fasce sociali, che col clero hanno poco o niente da spartire. Accompagnata dalla candida propensione amicale – specie nei confronti dell’ospite, soprattutto se straniero – della popolazione.  L’Iran della gente, che non ci sta a farsi mettere nell’angolo, che non vuole passare per fiancheggiatrice del terrorismo, che non si sente rappresentata - guarda un po’ - dai suoi governanti. Gli iraniani: la popolazione emotivamente più simile a noi che sia dato di incontrare in tutto il Medio Oriente. 80 milioni di persone in un paese soffocato dalle sanzioni economiche, molto diverso da come ce lo aspettiamo. 

Di questo e molto d’altro, delle centinaia di sfaccettature di questa mentalità parlo nel mio libro Isolato ma accogliente. L’Iran oltre gli stereotipi dell’occidentePentagora Editore, 162 pagine, 12 euro. Acquistabile in libreria, sul sito dell’editore o su quello di Associazione RAM. Della condizione di isolamento internazionale (non integrale, ma a tratti molto severa) cui il paese deve soggiacere da oltre un quarantennio: “Agli iraniani proprio non va giù. Non ci stanno a far la figura dei terroristi nell’immaginario internazionale. Te lo ricordano appena ci si ferma a parlare. Tra il 2014 e il 2016 c’era un fermento palpabile tra le vie del paese, si respirava nelle parole e nei gesti delle persone. Dopo 40 anni di oscurantismo, interrotto solo dalla speranza Khatami, anch’essa bruciata in fretta con il suo movimento verde, in quegli anni politici ed imprenditori di tutto il mondo facevano la fila a Teheran. Vi era la certezza di una rimozione dell’embargo economico. Tra la gente comune era tornato l’ottimismo. Oggi, purtroppo, la situazione si è capovolta. Tutto ha cominciato ad incrinarsi con l’avvento di Trump alla Casa Bianca nel novembre 2016, un fulmine a ciel sereno che aveva seguito di poco la rielezione a Teheran del moderato Rouhani. Pronti, via, il nuovo presidente americano congelava, ritirandosi unilateralmente da un fondamentale accordo sul nucleare, il processo di distensione che era cominciato e progredito con Obama. In un crescendo di episodi negativi si è giunti infine, ad inizio 2020, all’eliminazione da parte americana del generale iraniano Suleimani, e da parte dei pasdaran all’abbattimento di un volo civile della Ukrainian Airlines, scambiato per un missile nemico. Tutte morte le 176 persone a bordo, e un balletto di non-ammissioni di responsabilità da parte del regime iraniano. Crisi gravissima, dunque. Seguita dall’esplosione del Covid-19, con il paese che emerge quale principale infettato dell’intero Medio Oriente (adesso il contagio pare essersi fermato, ma le cifre ufficiali vengono messe in dubbio). Insomma, a questo punto la popolazione iraniana chissà quanto dovrà aspettare ancora per rientrare nella comunità internazionale, a livelli di immaginario e in termini di pari opportunità reali. Frattanto i media ci raccontano soprattutto l’odio dei leader, le minacce, i proclami di vendetta reciproca. La voce delle persone comuni, meno interessate a queste cose, di solito non trova cittadinanza”.

Ho viaggiato intensamente in Iran tra il 2014 e il 2019, mi sono fatto degli amici veri, ho lavorato scrivendone e fotografando. Sono stato ospitato in famiglia a Shiraz e Esfahan, poi dall’Italia ho organizzato numerose esperienze di viaggio di gruppo sul posto con RAM Viaggi, il tour operator di turismo responsabile con cui lavoro. Ma se quanto prima accennato introduce al quadro politico – con capitoli che sintetizzano la storia recente, che spiegano le sanzioni a un paese ricco di petrolio e gas naturale, che indagano sul fenomeno del turismo, sulle sue potenzialità e difficoltà – nel libro per il resto ho cercato di far parlare le persone.  Raccontando di Shirin e del fratello Alì, due ragazzi splendidi che mi hanno accolto per vari giorni nella loro famiglia, che ho rivisto in viaggi successivi, che ho coinvolto in alcune esperienze amicali coi ‘miei’ turisti. Di cui ho riportato alcune delle opinioni (il capitolo Dove ha fallito la Rivoluzione Islamica trae spunto da alcune valutazioni di Shirin, lucidissime e tranchant). In quei giorni con loro, a spasso per Esfahan o in auto verso i deserti dell’est, ho testimoniato delle loro scelte, del loro modo di essere, ho condiviso il loro tempo visitando i parenti in campagna. 

Ma nel libro compaiono anche le profonde discussioni con gli amici, le guide che ho avuto e che frequento, uomini e donne, a Shiraz, a Yadz, a Teheran. Compaiono le ragazze di Kashan e di Shiraz, con cui ho passato diverse ore piacevoli, scoprendo qualcosa di più della condizione femminile, del velo, e della mentalità iraniana: “Kashan, moschea del centro storico, mattinata di ottobre; da solo. Un gruppo di studentesse iraniane in gita scolastica si affolla, come può accadere in qualsiasi moschea del paese, attorno al visitatore occidentale. In Iran è normalissimo. Si parla, si ride, ci si conosce. C’è grande curiosità. Si fanno fotografare, mi fotografano, mi mettono in mezzo. L’insegnante, un signore sui cinquanta, osserva sornione, sorride. In Iran succede spesso. Molto più di quanto accada negli altri paesi della regione, dall’Egitto all’Oman. Molto più, ad esempio, che in Rajasthan, allargandosi all’India, se a coinvolgersi sono gruppi di donne. C’entra il tasso di istruzione. Quanto più vi siano ignoranza, scarsa alfabetizzazione, impossibilità di apprendere quanto succede nel mondo, meno ci sarà apertura, più trionferà la repressione, la remissività di alcuni, e delle donne in particolare.” 

E ancora, mi sta a cuore il racconto della metro di Tehran, con la città ricca del nord (l’orgia dei consumi di Tajrish e ‘le ragazze che spendono una fortuna in profumi’), e i quartieri popolari del sud – un altro mondo a distanza di pochi km. Teheran, una capitale che è metropoli, ma niente affatto sgradevole; certamente diversa dal resto del paese. Per contrasto rispetto alla marcata urbanizzazione del paese (72 % degli iraniani oggi vive nelle aree urbane, saranno l’80% nel 2030), mi soffermo poi dell’abbandono dei villaggi, delle campagne. Iniziato con la fissa dello scià Mohammed Reza che voleva la gente in città: “Lo scià intendeva lanciare il suo paese verso un futuro moderno, che lo sfruttamento del petrolio del sottosuolo gli presentava a portata di mano. I villaggi agricoli di cui l’Iran era ed è ancora pieno, anche se ormai semi-abbandonati, per lui rappresentavano il simbolo di un’intollerabile arretratezza. Oggi costituiscono la testimonianza di un passato che non può tornare, perché quasi tutto è andato perduto su questo fronte, tutto è straniato come in certi libri di fantascienza, la memoria di chi ci viveva praticamente estinta“. Esodo consumatosi allora e poi proseguito durante la guerra tra Iran e Iraq (durata dal 1980 al 1988, risultato un milione di morti), e cristallizzatosi oggi. 

Nel libro racconto infine dei nomadi che ancora abitano questo paese, in due capitoli: Una giornata al pascolo e Il nomade sedentarizzato. Nomadi di etnie diverse stanziati un po’ dappertutto, in ogni regione. Poiché il pastoralismo, lo stile di vita nomade o seminomade legato all'allevamento del bestiame pare sia nato millenni orsono proprio nell’Iran centrale, fra i monti Zagros (la parola 'nomade' proviene dal greco 'nomos', che significa pascolo). Eppure sappiamo pochissimo dei nomadi iraniani, nonostante si tratti ancora oggi di un milione di persone o poco meno che vivono in un modo differente, cifra rilevante per un’eccezione. I due capitoli hanno anche a che fare con un altro libro, scritto con l’amico Stefano Salteri tra il 2016 e il 2017, visto che cerco di non farmi crescere l’erba sotto i piedi: Iran, viaggio fra i nomadi Qashgai, pubblicato in proprio da noi due con la grafica di Sara Salteri, e disponibile solo in e-book. Con Stefano ci siamo accampati con una famiglia Qashgai, nella primavera 2016. A 2000 metri, per un breve periodo. Grazie alla bravura di un’interprete, con questa gente abbiamo condiviso e convissuto a meraviglia.

Renzo Garrone

Renzo Garrone, Genova 1956, scrittore e viaggiatore, pubblica dal 1985. Ha visto comparire suoi articoli e foto su numerosi giornali e riviste, realizzato varie guide di viaggio, prodotto saggistica sul fenomeno del turismo e reportage da numerosi paesi. Nel 1987 ha fondato RAM, organizzazione specializzata in Asia che si occupa di Fair Trade, Editoria e Viaggi di qualità, d’incontro e responsabili. Questo è il suo Blog, dedicato al Reportage.

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