A Santos il premio Nobel, perché non alle vittime della guerra?

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Fair Leonardo aveva 26 anni quando è stato ucciso dall'esercito di Stato, anche se a causa di un ritardo nell'apprendimento aveva l'età mentale di un bambino di cinque anni. Sua madre Luz Marina, vive in una baraccopoli di Soacha, a sud della grande periferia di Bogotà; Luz Marina lo ha descritto come un ragazzo ingenuo, che vedeva sempre il buono in tutti quelli che lo circondavano. Pensa che sia stata proprio la sua ingenuità a renderlo un facile bersaglio per l'esercito. "Si deve essere fidato di loro," dice.

All'una e mezza del pomeriggio dell'8 gennaio 2008, Fair Leonardo salutò la madre e uscì di casa, e nessuno lo vide più vivo. I familiari avvertirono le autorità, ma dopo che ricevettero delle spiegazioni pretestuose dalla polizia ("forse voleva solo andarsene di casa") capirono che avrebbero dovuto cercarlo da soli. Luz Marina trascorse otto mesi a cercare suo figlio - ingaggiando perfino dei senzatetto di Soacha - ma non ottenne nessun risultato.

Nel mese di settembre 2008, nove mesi dopo l'ultima volta che Luz Marina aveva visto suo figlio, ricevette una chiamata dal dipartimento di medicina legale della locale caserma di polizia. Mi ha descritto la paura e il dolore che provò dopo quella telefonata, e l'interminabile tragitto verso il reparto.

La donna che trovò ad attenderla le disse, "Signora Marina, ho bisogno che lei stia calma," prima di mostrarle delle foto di suo figlio. "Metà del suo viso era completamente deturpato," mi ha detto Luz Marina. "Gli avevano sparato tre volte. Si poteva vedere l'osso della mascella che veniva fuori." La donna le disse che suo figlio era stato trovato nella città di Ocaña, nel dipartimento di Norte de Santander, a centinaia di chilometri da Soacha. Due settimane dopo essere stata al dipartimento di medicina legale, Luz Marina era a Ocaña, per riportare a casa il corpo del figlio.

Quando arrivò a Ocaña, Luz Marina incontrò le autorità locali, che le dissero che il figlio era morto appena quattro giorni dopo essere scomparso. Le stesse autorità poi le chiesero se fosse a conoscenza del fatto che il figlio faceva parte della gueriglia delle FARC. "Mio figlio non sapeva né leggere né scrivere," disse loro Luz. "Mi prendevo io cura di lui. Se è morto solo quattro giorni dopo aver lasciato casa, quando si sarebbe unito alle FARC?"

Le autorità le spiegarono che Fair Leonardo era stato ucciso durante un combattimento con l'esercito. Dissero che aveva cercato di estorcere denaro a dei civili di Ocaña in cambio di protezione. "Aveva difficoltà di apprendimento," dice Luz, "non conosceva il valore del denaro." Le dissero che avevano prove del coinvolgimento di Fair Leonardo nelle FARC, perché era stato trovato con una pistola in mano. Ma la pistola era stata trovata nella mano destra, e Fair Leonardo era mancino.

Durante il Governo del Presidente Uribe (2002-2010) varie ONG internazionali hanno documentato oltre 3.000 casi di “falsos positivos”, ai soldati furono promessi pagamenti in contanti e ferie più lunghe se avessero aumentato il numero delle vittime fra i guerriglieri delle FARC.

Di fronte all’evidenza del continuo uscire di nuove terribili rivelazioni che mettono in dubbio tutti i presunti successi del governo Uribe nella “guerra al terrorismo” l’unica strategia del governo fu quella di chiedere perdono. Il vicepresidente della Repubblica Francisco Santos è stato costretto nel 2008 ad ammettere l’implicazione dell’esercito nei casi di omicidi extragiudiziali, chiamati “falsi positivi”: “provo vergogna per questa situazione. Chiedo perdono alle vittime e prometto che nessuno di questi crimini resterà impunito”.Per Iván Cepeda, all’epoca coordinatore del Movimento delle vittime del terrorismo di Stato MOVICE, le parole di Santos sono solo formali di fronte all’esplodere dello scandalo: “Non c’è nessuna volontà trasparente di cambiare la politica di violazione sistematica dei diritti umani in Colombia. Da anni denunciamo i falsi positivi e quando lo facciamo il governo Uribe ci accusa di essere fiancheggiatori della guerriglia e di volere solo screditare la politica di sicurezza”.

Il 29 maggio 2009, la Federazione internazionale per i diritti umani (FIDH) ha presentato alla Corte Penale Internazionale una documentazione relativa a 3345 esecuzioni extragiudiziarie, commesse tra il 2002 e il 2008 e conosciute in Colombia come "falsi positivi". Sotto accusa gli alti comandi dell'esercito colombiano, responsabili dell'assassinio di civili poi presentati come combattenti dell’insurgencia. Nel documento si precisa che le informazioni fornite dal governo colombiano devono essere considerate inaffidabili, data la partecipazione organica dell'apparato statale alla realizzazione dei crimini in questione.

Le parole (e le omissioni) di Santos a Oslo

Il presidente della repubblica colombiana Juan Manuel Santos ha ricevuto il premio Nobel per la Pace in una cerimonia a Oslo, sabato scorso 10 dicembre. "È un dono dal cielo", ha dichiarato Santos dedicando il riconoscimento a tutti i colombiani, in particolare a tutte le vittime delle guerra civile. Il Nobel per la Pace dimostra che "l'impossibile è possibile" perché "la guerra che ha provocato tanta sofferenza e dolore alla nostra popolazione, in lungo e in largo nel nostro bel Paese, è finita". Santos, che è stato scelto per i suoi "sforzi decisi" per porre fine a 52 anni di guerra, ha difeso la necessità di costruire "una pace stabile e duratura" e ha detto che il Nobel è come "il vento in poppa che ci ha spinti ad arrivare alla nostra destinazione: il porto della pace".  Il presidente colombiano: "si è conclusa la guerra che ha provocato tanta sofferenza e angoscia al nostro popolo in ogni angolo del nostro bel Paese".

Zeid Ra’ Al Hussein, Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani, in visita in Colombia, ha affermato il primo di dicembre che l’Accordo Definitivo assegna alla sua organizzazione un ruolo importante nella applicazione dei diritti umani. L’ONU dovrà quindi controllare e denunciare qualsiasi attacco, minacce o assassinii, contro i diritti umani. Attacchi che in questa fase sono, innanzitutto, portati avanti dai gruppi paramilitari.

L’esistenza di gruppi paramilitari che agiscono e colpiscono costituisce uno dei maggiori pericoli per la pace in Colombia.

La violenza sociopolitica in Colombia precede il conflitto armato. Data degli anni ’40, quando gli spazi di agibilità democratici vennero chiusi dall’assassinio del popolare leader Jorge Gaitan. Tuttavia, si continua a perpetrare la logica del “nemico interno”. Secondo Somos Defensores, tra il 2010 e il 2016, i sei anni di governo Santos, sono stati uccisi 365 leader sociali, principalmente ad opera di bande paramilitari. Secondo l’ex capo paramilitare Salvatore Mancuso, nelle legislative del 2002 almeno il 35% dei deputati furono eletti con i voti delle zone controllate dal paramilitarismo.

Interessi tutt’ora in piedi e ben patrocinati, che gettano un’ombra sinistra sui patti dell’Avana.

In oltre cinquant’anni di guerriglia, che hanno lasciato un saldo di circa 260.000 morti, 45.000 scomparsi e 6,9 milioni di sfollati, il ruolo dei paramilitari è stato determinante. Secondo le inchieste indipendenti, nonostante la “smobilitazione” ufficiale, i paramilitari hanno solo cambiato etichetta.

Ma nel discorso a Oslo del Presidente Santos non fa nessun riferimento alle vittime del paramilitarismo come Luz Marina di Soacha, come denuncia il Movimento di Vittime di Crimini di stato MOVICE (partner strategico di LIBERA di don Ciotti).

Movice (il suo portavoce e attuale Senatore di sinistra Ivan Cepeda non viaggia all’ultimo mininuto a Oslo anche a causa di problemi interni alla sinistra che vorrebbe candidare alle prossime presidenziali del 2018, Jorge Robledo, che si e’ caratterizzato per il suo estremismo) “lamenta l’assenza di rappresentanti delle vittime di stato, in uno scenario emblematico come quello di Oslo. Le vittime in Colombia sono un amplio e diverso universo, como lo dimostrano le numerossisime sentenze internazionali per i massacri di La Rochela, Mapiripán, Santo Domingo, il Palacio de Justicia, o l’assessinato di Manuel Cepeda Vargas (padre di Ivan), e’ intollerabile, continuare a invisibilizzare queste vittime”.

Mentre i mass-media italiani in generale non hanno posto la dovuta attenzione sul Premio Nobel al Presidente Santos, vale la pena ricordare le parole dell’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, segretario delegato di Giustizia e Pace e anteriormente Rappresentante del Vaticano alle Nazioni Unite di Ginevra.

“Da sempre – sottolinea l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, segretario delegato di Giustizia e Pace – la Santa Sede si è impegnata nella mediazione quando è stata richiesta di mediare per riconciliare persone o Stati in conflitto tra di loro. Lo ha fatto dai tempi di Leone XIII con la mediazione sulle isole Caroline fino a Giovanni Paolo II nella contesta tra Cile e Argentina, fino a Papa Francesco per facilitare rapporti normali tra Cuba e Stati Uniti e in Colombia tra i rappresentanti della guerriglia e il governo. La mediazione e il dialogo sono parte della tradizione diplomatica della Santa Sede”.

Per l’arcivescovo Tomasi, si tratta piuttosto di creare uno scarto con la teoria della “guerra giusta”. Una teoria – spiega – che deve essere capito come un tentativo in realtà di limitare i danni della guerra. Oggi puntando sulla non violenza focalizziamo l’impegno internazionale nel prevenire possibili scoppi di violenza, provvedendo di lavorare per una società più umana, più rispettosa dei diritti umani, più aperta al dialogo con le persone e le culture diverse in modo da facilitare l’incontro”.

Cristiano Morsolinesperto di diritti umani in America Latina dove vi risiede dal 2001.

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