Siamo 7 miliardi, urge uno sviluppo sostenibile

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La popolazione mondiale raggiungerà oggi quota 7 miliardi. La pianificazione per uno sviluppo sostenibile a livello globale che ponga tra le sue priorità la tutela ambientale, oltre a politiche di equità sociale e controllo demografico, sembra essere una delle principali chiavi d'azione per affrontare le sfide dei prossimi trent'anni. E' ciò che emerge dal Rapporto sullo stato della popolazione mondiale "Il mondo a 7 miliardi: le persone, le opportunità" del Fondo delle Nazioni unite per la popolazione (UNPFA), presentato nei giorni scorsi in Italia dall'AIDOS, l'associazione italiana donne per lo sviluppo (qui la presentazione e le schede tecniche).

La fotografia scattata dalle Nazioni unite, infatti, se considera un successo il traguardo dei 7 miliardi del 2011, mette tutto l'accento sui rischi del modello di sviluppo attuale, incapace di soddisfare in prospettiva i bisogni di 7 miliari di persone. Basta guardare al caso di Cina e India, ognuna con una popolazione che supera il miliardo di abitanti e con economie con i più alti tassi di crescita al mondo: considerando che oggi il 7% della popolazione più ricca produce metà delle emissioni mondiali di anidride carbonica, il crescente impatto internazionale dello sviluppo dei Paesi emergenti produrrebbe forti rischi in termini ambientali. Soprattutto se, a breve, non verranno raggiunti accordi sostenibili sulla riduzione delle emissioni di gas, osteggiate spesso proprio da alcuni dei Paesi più industrializzati, Stati Uniti in testa.

Il consumo idrico pro capite, solo per citare un altro esempio, sta crescendo a un ritmo quasi doppio rispetto all'aumento della popolazione, sostiene il rapporto, e nei prossimi 20 anni il fabbisogno di acqua potabile mondiale sarà cresciuto del 40%. Ugualmente, assisteremo a un evidente impennata della domanda di beni come legno, cibo, combustibili fossili con tutte le conseguenze del caso. Le crescenti aspettative legate al miglioramento delle condizioni di vita in tutto il mondo impongono al pianeta pressioni sempre maggiori, mentre oggi già 884 milioni di persone non hanno accesso a fonti sicure di acqua potabile.

Fra l'altro sono proprio le fasce di popolazione più povere, meno responsabili dei cambiamenti climatici, a correre più rischi, e spesso siccità, inondazioni e carestie vanno ad aggiungersi ai motivi che hanno spinto 214 i milioni di persone a lasciare le proprie case, e spesso il proprio Paese, nel corso del 2011.

Se poi si considerano le previsioni dell'Onu secondo le quali la popolazione mondiale raggiungerà 9,3 miliardi già nel 2050, appare ancora più evidente l'urgenza di ridisegnare modelli di sviluppo economici e ambientali realmente sostenibili.

Il rapporto dell'Unfpa mostra già forti differenziazioni: la popolazione del 2011 infatti è' la più giovane e insieme la più vecchia mai conosciuta. La povertà estrema è in calo ma la forbice tra ricchi e poveri sta crescendo non solo nei Paesi più poveri ponendo nuovi problemi, anche in termini di tenuta di modelli di giustizia sociale nei Paesi più industrializzati.

Per intervenire su una realtà così contraddittoria, l'Unfpa pone alcuni obiettivi chiari. A partire dall'elaborazione di modelli di sviluppo a minore impatto ambientale, ma anche puntando su politiche di maggiore equità sociale e promuovendo un approccio alla crescita demografica basato ìsulla pianificazione familiare e sull'accesso ai servizi legati alla salute riproduttiva.

Emma Sagonà
Fonte: Lettera 22

 

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