Contro la pedo-pornografia: l’UE rinvia la decisione finale

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Immagine: Unsplash.com

Tutto rimandato a data da destinarsi, o meglio la discussione resta aperta fino a dicembre. Lo scorso 14 ottobre i Paesi dell’Unione Europea avrebbero dovuto chiarire una volta per tutte la propria posizione sul cosiddetto “Chat Control” ma proprio nei giorni precedenti il passo indietro della Germania ha costretto il Consiglio Europeo a rinviare nuovamente il voto. La posizione di Berlino ha costituito di fatto un veto, non essendo possibile giungere diversamente a una maggioranza qualificata, che nel Consiglio UE è del 55% degli Stati membri per almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Attualmente, dodici governi hanno appoggiato il “sì” al provvedimento: Bulgaria, Croazia, Cipro, Danimarca, Francia, Ungheria, Irlanda, Lituania, Malta, Portogallo, Romania e Spagna. Nove i Paesi contrari: Austria, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia e Slovenia. I sei Stati rimanenti, Belgio, Grecia, Italia, Lettonia, Slovacchia e Svezia, restano indecisi.

Il regolamento europeo CSAM, acronimo di Child Sexual Abuse Material, è stato presentato dall’allora commissaria europea per gli Affari interni, la svedese Ylva Johansson, nel maggio 2022 per contrastare la diffusione di materiale pedo-pornografico. In Europa la pornografia minorile online risulta in continua crescita. Nel 2022 sono state registrate circa 1,5 milioni di segnalazioni di abusi sessuali su minori, e nel 2023 l’Internet Watch Foundation ha confermato oltre 275.000 URL contenenti materiale illegale, gran parte dei quali ospitati su server europei. Preoccupa in particolare l’aumento dei contenuti autogenerati dagli adolescenti, oltre alla comparsa di immagini di minori create con intelligenza artificiale, che rendono più difficile identificare le vittime e configurare il reato. 

Il sistema di controllo obbligatorio previsto dal regolamento andrebbe ad analizzare automaticamente tutti i messaggi, gli audio, le foto e i video inviati dai cittadini e notificherebbe i materiali sospetti alle forze di polizia. Di fatto, quindi, il regolamento CSAM chiede alle piattaforme di comunicazione, dai big come WhatsApp, Messenger e Telegram, Gmail, iMessage o Signal fino alle piattaforme più piccole, e ai fornitori di servizi di hosting, di eseguire una valutazione del rischio per stabilire la probabilità che i loro servizi siano utilizzati per lo scambio di materiale illecito, e dovrebbero quindi adottare misure per mitigare tale rischio.

Nonostante i dati emergenziali del fenomeno e la condivisione degli obiettivi del regolamento, lo strumento di “Chat Control” che si vorrebbe mettere in campo non ha mai cessato di attivare scetticismo e preoccupazione per le sue ovvie implicazioni sul diritto alla privacy e, soprattutto, per il rischio di abusi con l’uso improprio finalizzato alla censura e al controllo politico. Nondimeno i critici hanno sottolineato come le reti pedopornografiche potrebbero spostarsi su altri canali non controllati, come le chat “peer to peer” che permettono una condivisione diretta e senza intermediari e che già oggi vengono utilizzate; un altro problema sarebbe dato dai moltissimi “falsi positivi” generati dal sistema, come ad esempio le foto che riprendono bambini anche in condizioni di nudità al mare, o le conversazioni consensuali tra adolescenti. Infine secondo alcuni esperti informatici, la sicurezza complessiva delle chat verrebbe intaccata e la esporrebbe maggiormente agli hacker.

A voler pensare male, più che le pressioni dei garanti europei della privacy, probabilmente sono state proprio le minacce dei colossi della comunicazione, come Signal e Meta, di lasciare l’Europa qualora ci fosse stata l’approvazione di Chat Control a fungere da detonatore della richiesta di emendare il regolamento in approvazione. Si lavora quindi ora su un nuovo regolamento Chat Control 2.0 che include una sostanziale modifica: il controllo non dovrebbe avvenire su tutte le conversazioni ma solo su quelle esplicitamente richieste dalle autorità nazionali, con l’intervento di un giudice e non delle autorità amministrative. Con la discussione del Consiglio Europeo rimandata a dicembre ci sarà tutto il tempo di limare il regolamento in maniera tale da raggiungere l’obiettivo primario di limitare il diffondersi di materiali pedo-pornografici e scongiurare al contempo l’allarme sulla possibilità di istituzionalizzare un nuovo sistema di “sorveglianza di massa”, con il pretesto della lotta agli abusi contro i minori. 

Quale sarà la scelta dell’Unione Europea? Ci sarà una svolta verso un’Europa più protettiva (e centralizzata), a favore di una sicurezza collettiva anche a dispetto della privacy individuale, o piuttosto un’Europa garantista, volta a tutelare il principio dell’inviolabilità delle comunicazioni private inviolabili?

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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