Migranti: dossier Caritas, legislazione 'a metà del guado'

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Solo 140 mila immigrati nel 1970, oltre 1 milione nel 1997, quasi tre milioni nel 2005. Un'incidenza sulla popolazione ormai vicina alla media europea (5%), anche se ancora lontana dal 9% di Austria e Germania. Una presenza che da marginale è divenuta sempre più rilevante nella società italiana e che perciò richiede con forza una normativa più organica, per non restare "a metà del guado". È il quadro delineato da Caritas Italiana, Caritas di Roma e Fondazione Migrantes nel Dossier Immigrazione 2005 - che uscirà alla fine di ottobre -, in particolare nel capitolo dedicato alla storia dell'immigrazione in Italia.

Da paese di emigrazione - con circa 28 milioni di espatri a partire dall'unità d'Italia - siamo passati ad assistere con indifferenza e curiosità ai primi flussi di immigrazione (negli anni '70 e '80), per attraversare poi il periodo dell'emergenza (tra la fine degli anni '80 e la fine degli anni '90) e arrivare a quello che si può definire il periodo dell'organicità limitata e contrastata (dalla legge Turco-Napolitano del 1998, all'attuale legge Bossi-Fini). In un quadro legislativo che - come ricordato nel Libro Verde elaborato dalla Commissione europea all'inizio del 2005 con l'intento di favorire una politica migratoria comune - anche a livello europeo appare ancora incompiuto e nebuloso.
Eppure per l'Italia cifre e dinamiche parlano chiaro: è tempo di dotarci di una politica adeguata, meno attenta a tutelare un ingresso precario e sempre più capace di gestire un fenomeno di massa e strutturale, perché siamo oggi un grande paese di immigrazione.

Oltre al numero - 2.730.000 a fine 2004 di cui 1.289.000 provenienti dall'Europa, 647.000 dall'Africa, 472.000 dall'Asia, 314.000 dall'America, 7.000 dall'Oceania o apolidi -. aumenta anche il ritmo di crescita degli immigrati (130.000 nuovi arrivi dall'estero in un anno, di cui 88.000 per ricongiungimenti familiari). Inoltre va evidenziata la loro diffusione su tutto il territorio (60% al Nord, 30% al Centro, 10% al Sud) e la normalizzazione dal punto di vista demografico con prevalenza dei coniugati, elevata incidenza dei minori (un quinto dei residenti) e consistente numero di nati da entrambi i genitori stranieri (33.691 nel 2003 e secondo la proiezione del "Dossier Statistico Immigrazione" quasi 40.000 nel 2005). Infine si rileva una crescente tendenza alla stabilità di residenza - con circa il 60% della popolazione straniera soggiornante da più di 5 anni e 320.000 immigrati che, nel corso di questi anni, hanno acquisito la cittadinanza italiana - e un crescente fabbisogno di forze lavoro aggiuntive da parte del mercato occupazionale italiano, con un'incidenza dei lavoratori immigrati vicina all'8% delle forze lavoro.

Al processo irreversibile di strutturalizzazione dell'immigrazione dovrebbe corrispondere una visione organica convinta e proiettata nel futuro. Il nodo della politica migratoria in Italia sta nel collocarsi a metà guado: si ha coscienza che è impossibile tornare indietro ma si è titubanti nell'affrontare il problema delle quote e nell'adottare meccanismi flessibili di collocamento quale era la sponsorizzazione, che certamente la formazione in loco, oltre tutto molto costosa, non è in grado di sostituire. Gli immigrati sono anche i nuovi cittadini e per loro serve un progetto più deciso di integrazione che, banditi definitivamente xenofobia e razzismo, rimedi alle vessazioni di tipo burocratico, elimini le disparità, finanzi le attività necessarie per facilitare l'integrazione (scuola, casa, rimesse,credito, associazionismo, servizio civile dei giovani immigrati⅀) riveda la normativa sulla cittadinanza e faciliti la partecipazione degli immigrati tramite il diritto di voto amministrativo, in un contesto societario unitario quanto ai valori e alle regole ma rispettoso delle diversità.

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