Somalia, i cambiamenti climatici aiutano Al-Shabaab

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L’Istituto Internazionale per le ricerche sulla pace di Stoccolma (SIPRI), in un suo recente rapporto Climate-related security risks and peacebuilding in Somalia (Rischi per la sicurezza connessi al clima e costruzione della pace in Somalia) mette in luce come i sempre più frequenti fenomeni climatici estremi siano sfruttati dai gruppi terroristici, in particolare da al-Shabaab, per radicarsi sul territorio, fornendo alla popolazione servizi indispensabili e di emergenza che le istituzioni preposte non sono in grado di offrire.

Dei problemi posti dai cambiamenti climatici deve tener conto anche la missione Onu nel paese (UNSOM) se vuol raggiungere gli obbiettivi del suo mandato. E in particolare quello di assistere il governo nel processo di pace e di riconciliazioneLe autrici del rapporto, Karolina Eklöw e Florian Krampe, osservano che la Somalia è uno dei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici. Ha una temperatura media annuale tra le più alte del pianeta. Le osservazioni meteorologiche dimostrano che i picchi di calore si sono intensificati e sono diventati più frequenti negli ultimi anni. Inoltre è percorsa da venti fortissimi che distruggono alloggi e infrastrutture.

La Somalia, come tutta l’Africa Orientale, risente anche di fenomeni atmosferici originati a migliaia di chilometri di distanza, come El Niño (che porta forti piogge e alluvioni) e La Niña (che porta forti venti e siccità) che nascono sulle coste del Pacifico dell’America Meridionale. I cambiamenti climatici, che provocano sempre più frequenti siccità combinate con alluvioni in diverse parti del paese, hanno di molto peggiorato le condizioni di vita della popolazione. La produzione agricola si è drasticamente ridotta, provocando rialzi nel prezzo del cibo sul mercato. Le risorse idriche sono diventate sempre più scarse mentre in tutta la zona costiera le falde si sono salinizzate, rendendo l’acqua imbevibile sia per gli uomini che per gli animali. 

Secondo Save the Children, almeno metà della popolazione somala non avrebbe cibo a sufficienza. Inoltre decine di migliaia di persone ogni anno sono costrette a spostarsi dalle proprie zone di residenza per sopravvivere. Le crisi climatiche si aggiungono ai danni provocati da decenni di conflitto che hanno spinto nei campi profughi 2,6 milioni di persone, secondo stime ufficiali.

Queste condizioni sono terreno favorevole allo scatenarsi di conflitti tra diversi gruppi sociali. Ad esempio, i pastori - il 94% dei quali vive sotto la soglia di povertà - entrano spesso in conflitto con i contadini che già soffrono per la scarsità d’acqua e per la progressiva riduzione del terreno coltivabile. Il degrado del territorio mette in competizione i diversi clan per aggiudicarsi i terreni migliori. In questo stato di aumentata conflittualità, i metodi e gli strumenti tradizionali per affrontare e risolvere i problemi non sono più efficaci, e neppure applicabili, perché la guerra civile, durata circa trent’anni, ha disarticolato le comunità e il patto sociale che le teneva connesse. 

Questa situazione rende sempre più difficile e complesso far applicare le leggi ed erogare i servizi di base alla popolazione. E al-Shabaab ha avuto buon gioco nell’inserirsi nelle crepe lasciate dalle istituzioni. Durante le ultime emergenze climatiche ha distribuito cibo e denaro, dimostrando anche una buona capacità di adattarsi ai cambiamenti. In precedenza, infatti, l’organizzazione era radicalmente contraria agli aiuti umanitari. In questo modo si è meglio radicata tra la popolazione. Per di più può ora reclutare in un ampio serbatoio di popolazione che non ha più mezzi per sopravvivere e dunque accetta di buon grado il salario che i terroristi possono offrire.

Al-Shabaab approfitta anche delle attività, illegali e dannose per il futuro stesso del paese, cui la popolazione è ormai costretta per vivere, come la produzione di carbone di legna che genera desertificazione e aumenta l’impatto dei cambiamenti climatici. I balzelli imposti sul trasporto e sulla commercializzazione del carbone sono una parte rilevante dei proventi del gruppo. In questo scenario, secondo il rapporto del SIPRI, la comunità internazionale è ferma a considerare le emergenze dovute al clima, avulse dal contesto. Non affronta ancora i problemi posti dalle connessioni tra cambiamenti climatici, mezzi di sussistenza, insicurezza e migrazioni. E dunque si occupa della singola situazione di emergenza piuttosto che considerarla come un episodio di una catena di pericoli ricorrenti.

La situazione descritta ha un impatto anche sull’operatività e sull’efficienza della missione dell’Onu, UNSOM. Il rapporto suggerisce più flessibilità nel rispondere alle emergenze e più creatività nel collocarle in una strategia di peacebuilding a lungo termine. Osserva inoltre che quanto evidenziato nella situazione somala può essere applicato ad altri scenari simili che dunque necessitano di un analogo approccio.    

Bruna Sironi da Nigrizia.it

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