Sotterrare visoni per nascondere la vergogna

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Foto: Unsplash.com

C’è qualcosa di atroce nel modo in cui l’uomo consapevolmente sovverte, unico essere vivente del Pianeta, l’ordine naturale delle cose. Qualcosa di imperdonabile, che se sul momento può impietrire solo gli animi più sensibili o lungimiranti, nel tempo minaccia conseguenze tremende – e per lo più ancora impensate – per tutta la terra. Non solo in termini di crisi sanitaria, ma anche di crisi ecologica, e pericolosamente legate l’una all’altra.

È successo qualche settimana fa. L’ennesima dimostrazione nei fatti di quanto spregiudicato sia il modo di vivere e di relazionarsi con gli altri di chi si crede padrone di ogni cosa. Siamo in Danimarca, uno dei maggiori produttori mondiali di pellicce: distese di gabbie che chiudono visoni nati in cattività con il solo e unico scopo di essere spellati per trarne sontuose giacche per soddisfare le esigenze del mercato. In pochi giorni, questa morbida ricchezza, è stata eliminata “per precauzione”: diciassettemila visoni sono stati uccisi in centinaia di allevamenti danesi (anche se le prime avvisaglie erano emerse nei Paesi Bassi già mesi fa), a causa del sospetto di essere vettori di una mutazione del virus che ormai da oltre un anno ci tiene un’indesiderata compagnia. Pochi giorni dopo, anche altri Paesi, Italia compresa, hanno preso provvedimenti analoghi, nel migliore dei casi sospendendo le attività degli allevamenti intensivi di visoni fino al prossimo febbraio.

Eppure, se qualcosa di sbagliato e di condannabile in tutto ciò esiste, non è certo il virus. Quando migliaia di individui sono chiusi in spazi minimi e in condizioni igienico-sanitarie più che discutibili, è normale che i virus circolino più velocemente e che la loro possibilità di mutazione aumenti, generando nuovi ceppi e moltiplicando il rischio di trasmissione. Un processo che, è evidente, è insostenibile, sia per le condizioni disumane in cui avviene, sia per le conseguenze che provoca. Senza contare poi che la deforestazione capillare che subiscono alcune aree del mondo e che punta a fare spazio a nuove colture (per lo più utili a sfamare gli animali degli allevamenti intensivi, non le persone) favorisce, come sottolinea Isabella Pratesi, direttrice per la conservazione di WWF Italia, il contatto con nuove specie selvatiche e relativi patogeni che compiono agevolmente il cosiddetto spilloverhop, il gioco è fatto, il virus ora è tutto nostro.

È un modo di vivere globale e interconnesso, attraverso il quale stiamo preparando le condizioni per la tempesta perfetta. Ma continuiamo a scivolare indifferenti sul piano inclinato del nostro egoismo. Non rispettiamo gli equilibri ecosistemici e li mettiamo invece a durissima prova, mirando solo a un estemporaneo piacere, alla soddisfazione di bisogni futili e momentanei, senza pensare che stare al proprio posto nel mondo non è segno di abulico immobilismo, ma di profondo rispetto per le relazioni che ci uniscono agli altri. Sfruttare altri esseri viventi per la nostra alimentazione squilibrata o per i nostri capricci modaioli è la firma in calce alla nostra stessa condanna, che non verrà da qualche divinità arcigna e punitrice, ma si abbatterà su di noi per unica ed esclusiva colpa: la nostra.

Se tutto ciò che Re Mida toccava con mano si trasformava in oro, tutto ciò che noi facciamo di sbagliato al Pianeta lo facciamo a noi stessi e ci ritorna addosso, con le ondate destabilizzanti che già stiamo sperimentando in termini di crisi ambientali, ecologiche ed etiche. E che tutto ciò che compiamo sia un boomerang scagliato in velocità lo dimostra l’evoluzione stessa della “vicenda visoni”. Come smaltire milioni di animali fatti nascere con il solo scopo di essere uccisi (poco importa in che modo), se non sotterrandoli, togliendoli alla vista e quindi eliminando il problema? Già, questo è stato fatto in Danimarca, ma dopo poco tempo i cadaveri sono riemersi dal terreno, come nei peggiori film horror: un macabro fenomeno dovuto a un processo naturale di decomposizione che gonfiando i cadaveri di gas li ha fatti riemergere dal metro di terra che li copriva e che ha indotto le autorità a riesumarne una parte, imponendo una nuova inumazione dei mustelidi a una profondità minima di 2,5 metri, avendoli prima disinfettati e coperti di calce. Un processo che, se non fosse tanto tremendo nella sua crudeltà e nella beffa che porta con sé, sarebbe un perfetto ridicolo sketch tragicomico per una serie nonsense. E invece il riassunto della vicenda è ben altro, e tristemente reale: un susseguirsi di provvedimenti affrettati, di certo molto discussi e discutibili e a volte anche senza le necessarie basi legali (come ben emerge da questo articolo de Il Post), finalizzati a mettere toppe frettolose su strappi irreparabili che non chiedono di ricucire il salvabile, ma di cambiare drasticamente rotta, prima che il male ostinatamente perpetrato agli altri sotterri noi.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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