Colombia, cosa rischia Gustavo Petro

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Il recente assassinio del giudice colombiano Marcelo Pecci, attivo nella persecuzione della criminalità organizzata e avvenuto durante la sua luna di miele su una piccola isola al largo di Cartagena, porta al centro dell’attenzione la minaccia di morte che grava su coloro che in Colombia si mettono di traverso al dominio della perversa alleanza fra mafie, paramilitari, e destra politica.  Questa minaccia sembra concreta sulla testa di Fernando Petro, il primo candidato di sinistra  nella storia colombiana moderna ad avere concrete possibilità di vincere le prossime elezioni presidenziali del 29 maggio (primo turno).

Una minaccia che ha indotto Petro a cancellare un tour elettorale nella regione “cafetera”, il “pais Paisa” di Medellin, Pereira, Manizales. Grandi città che godevano di un’economia prospera anche prima dell’avvento dei narcos. E che videro sorgere un vero e proprio contropotere basato sugli immensi profitti derivati dalla produzione e traffico di cocaina. Questa conversione dell’economia dal tessile e dal caffè pregiato alla droga, e l’ascesa al potere, anche politico, di una nuova classe dirigente brutale e senza scrupoli si intrecciò, fin dall’inizio, con il crescente potere delle cosiddette Autodefensas, nate nelle campagne con il compito dichiarato di opporsi alla guerriglia di ispirazione marxista delle Farc (Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia) e dell’Eln.

Proprio da queste forze proviene una lunga catena di “magnicidi”, ovvero di omicidi di grandi dirigenti politici che si opponevano all’egemonia politica e sociale della destracolombiana. E’ dalla rilettura di queste pagine sanguinose che si può capire come la minaccia che induce lo staff di Fernando Petro alla prudenza – sarebbero le famigerate autodefensas Aguilas negras ad aver progettato l’omicidio a Pereira della settimana scorsa- non sia affatto da sottovalutare. 

La catena di magnicidi si può far iniziare con l’assasassinio di Jorge Eliecer Gaitàn nel 1948. Gaitàn all’epoca era leader unico del progressista Partito liberale, dopo essere stato sindaco di Bogotà negli anni ’30, e poi ministro dell’istruzione. Nell’aprile 1948, quando  era considerato ampiamente favorito per la presidenza,  venne assassinato per strada da un oscuro Juan Roa Sierra, su cui non fu mai fatta chiarezza. Una  folla inferocita lo linciò e lo crocefisse di fronte al palazzo presidenziale Casa de Nariño. Ne seguì una rivolta popolare, definita dagli storici come El Bogotazo. E una vera e propria guerra civile diffusa, che in ogni angolo del Paese vide massacrarsi fra loro conservatori e liberali, periodo conosciuto come la Violencia, a cui pose fine solo un golpe militare capeggiato da Rojas Pinilla. Proprio in questo clima ebbe inizio anche la guerriglia marxista delle Farc, che solo coll’accordo di pace recente ha deposto le armi.

Un altro candidato presidenziale ucciso prima delle elezioni fu Jaime Pardo Leal , ucciso l’11 ottobre del 1987. Leal era il leader dell’Union patriota, dichiaratamente emanazione politica legale delle Farc, che già da allora tentavano di uscire dall’isolamento insurrezionale nelle campagne, per entrare legalmente in Parlamento e nelle istituzioni. Ma la venuta allo scoperto dei membri dell’Up costò un altissimo prezzo. Al momento della sua morte, 471 membri dell’Union patriotica erano già stati assassinati in tutto il Paese. Tra essi, più di cento sindaci, soprattutto di centri rurali, che vivevano sotto la minaccia diretta dei paramilitari. Il mandante dell’omicidio di Leal era il signore della droga José Gonzalo Rodríguez Gacha, noto anche come “il Messicano”. Il giornale del Partito Comunista Colombiano Voz  pubblicò un rapporto in cui collegava membri dell’esercito colombiano a Rodríguez Gacha...

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