Turchia: privacy o censura?

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Foto: Unsplash.com

Nei primi giorni di settembre su alcuni media turchi è rimbalzata la notizia dell’arresto del leader della confraternita Uşşaki, Fatih Nurullah, reo di aver molestato sessualmente una dodicenne. Ma solo alcuni giorni dopo, il link dello scoop - portato allo scoperto dal portale Odatv - è diventato inaccessibile per ordine delle autorità giudiziarie.

La misura è poi stata estesa ad altri giornali  che avevano riportato la notizia dell’arresto, mentre la Procura della Repubblica ha posto Odatv sotto indagine per aver violato la privacy di Nurullah. Secondo il rapporto EngelliWeb2019   dell’Associazione per la libertà di espressione (İFÖD - İfade Özgürlüğü Derneği), nel 2019 le autorità giudiziarie hanno oscurato 5559 notizie, molte delle quali “di notevole interesse pubblico”, perché avrebbero violato i “diritti della persona” e della “privacy”.

L’account Twitter di EngelliWeb segnala quotidianamente diversi casi che rientrano in questa categoria censoria. Ad esempio, un rapporto dell’Unione turca dei medici (Türk Tabipler Birliği) ha reso noto che gli operai della fabbrica Vestel a Manisa, per una settimana, non hanno avuto il permesso di andare in ospedale dopo essere risultati positivi al Covid-19. Le autorità hanno reagito impedendo l’accesso sia al rapporto che alle relative notizie.

Un altro ordine di blocco   ha interessato centinaia di notizie riguardanti l’assegnazione dei terreni demaniali della foresta-fattoria Atatürk di Ankara, nonché di alcuni importanti edifici storici all’università e ospedale privati Medipol, fondati dal ministro della Salute Fahrettin Koca.

In questo caso, le Università Medipol di Istanbul ed Ankara si sono dichiarate ‘parti lese’, mentre i giudici che hanno ordinato l’oscuramento delle pagine web hanno giustificato la decisione sulla base del “linguaggio offensivo” delle notizie e delle frasi citate nei titoli degli articoli, “tendenti a creare dubbi e l’ostilità del lettore” e dunque in violazione dei “diritti della persona”.

Ma i diritti della persona in Turchia sembrano essere davvero sconfinati, se si considera che il corpo della gendarmeria di Ankara ha chiesto e ottenuto anche il blocco di “Hornet”, il noto social network per incontri gay, e la relativa app.

L’articolo 9 della legge n. 5651 che definisce tale diritto permette infatti a persone fisiche e legali, ma anche a istituzioni e organizzazioni di presentare la richiesta di oscuramento, che viene valutata dal tribunale entro 24 ore.

Il rapporto EngelliWeb specifica che l’articolo 9A della stessa legge - quello che tutela la ‘privacy’ - ha in genere la stessa finalità del primo, ma è adoperato in un minor numero di casi per via della procedura più complicata.

Le notizie censurate, citate nel rapporto, vanno da presunti stipendi illeciti ricevuti da rappresentanti del Partito della giustizia (AKP) al bilancio in rosso di 900 milioni di lire turche registrato delle Poste dopo il trasferimento dell’azienda al Fondo sovrano turco. Ma ogni settimana molte altre notizie continuano a sparire dal web per lo stesso motivo. Il più delle volte i portali di informazione finiscono col rimuovere il contenuto bloccato, altre volte la censura si abbatte anche sulla notizia delle notizie oscurate.

L’ultimo, preoccupante sviluppo di questa tendenza è rappresentato dalle recenti modifiche alla stessa legge n. 5651, che ora permette ai ricorrenti di avvalersi anche del “diritto d’oblio” e ai tribunali di estendere il bando dei link ritenuti offensivi per la persona anche a motori di ricerca come Google, Bing e Yandex. Spetta però a questi ultimi mettere in atto o meno la decisione del tribunale.

Fazıla Mat da Balcanicaucaso.org

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