Partenariato

Stampa

Introduzione

Il partenariato (dal francese partenaire, in inglese partnership) è un confronto tra parti diverse (soggetti pubblici o privati, forze economiche e sociali) sulla realizzazione d’interventi finalizzati allo sviluppo economico, del territorio e all’integrazione sociale. Quindi ha un significato plurimo, ma se coniugato con il macrotema sviluppo lo ritroviamo ben descritto nell’ottavo Obiettivo del Millennio: un partenariato globale per lo sviluppo.

 

Partnership mondiale per lo sviluppo umano

Il partenariato governativo (tra le nazioni) opera su più tavoli. Da quelli istituzionali riconosciuti a quelli “non riconosciuti come istituzionali” ma, non per questo, meno importanti. Tra i primi vi sono le Nazioni Unite con relativi organi, agenzie, programmi e commissioni. Tra i secondi vi sono il G8 ed il G21. Il G8, pur essendo un organo non democratico e non rappresentativo nemmeno delle realtà industriali più importanti (Cina e Brasile non ci sono mentre l’Italia si….solo per fare un esempio), sul tema del debito dei paesi poveri ha svolto nel recente passato un ruolo importante.

Un ruolo che oggi troviamo assente, invece, riguardo il conseguimento degli obiettivi del millennio voluti fortemente dalle Nazioni Unite. Le popolazioni del G8, infatti, sono strette nella crisi economica e non riescono a dar corpo ad alcuna partnership significativa come previsto dalla Dichiarazione del Millennio al fine di conseguire la collaborazione tra i paesi “sviluppati” ed i paesi “impoveriti”. L’accordo prevede che in cambio di aiuti dei paesi industriali consegua un’economia sana, da parte dei paesi emergenti per garantire il loro stesso sviluppo e per indirizzare i bisogni umani e sociali.

I paesi sviluppati convengono di far da supporto ai paesi più poveri con aiuti, commerci e riduzioni del debito. L’ottavo obiettivo del Millennio indica i modi in cui i paesi sviluppati possono assistere quelli impoveriti nello sforzo di raggiungere gli altri sette obiettivi. Ciò richiede maggior cooperazione internazionale; misure per garantire la sostenibilità del debito a lungo termine; un sistema commerciale e finanziario multilaterale aperto, equo, basato su regole condivise, affidabile e non discriminatorio e misure certe per affrontare le particolari necessità degli stati meno sviluppati, delle enclaves e delle piccole isole-stato in via di sviluppo.

La campagna Jubilee 2000 portò nel giugno 2005 i paesi più sviluppati ad un accordo per cancellare completamente il debito di 40 miliardi di dollari che 18 paesi avevano con la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca di Sviluppo Africana.

 

Il “Consenso di Monterrey”

Nel contempo i grandi sottoscrissero il “Consenso di Monterrey” (in pdf):“il nostro obiettivo è di sradicare la povertà, raggiungere una crescita economica sostenuta e promuovere lo sviluppo sostenibile mentre facciamo progressi verso un sistema economico globale pienamente inclusivo ed equo” (par.1).

Questo accordo piuttosto contraddittorio che vuole “sradicare la povertà con una crescita sostenuta” rappresenta il pilastro su cui le Nazioni vorrebbero costruire il partenariato globale per lo sviluppo fondato sulla coerenza delle politiche internazionali e si articola in sei capitoli:

1) la mobilitazione di risorse finanziarie nazionali per lo sviluppo, che implica l’aumento dell’efficacia, della coerenza e della solidità delle politiche macroeconomiche, una buona amministrazione (governance), il rispetto dei diritti umani e la lotta alla corruzione.

2) la mobilitazione di risorse internazionali quali investimenti diretti esteri e altri flussi privati per lo sviluppo, per trasferire conoscenza e tecnologie e creare posti di lavoro, senza ignorare le implicazioni ambientali, sociali e di genere delle attività economiche.

3) il commercio internazionale come motore dello sviluppo, con riferimento a provvedimenti quali l’eliminazione dei dazi e quote sulle importazioni provenienti da paesi meno sviluppati e il rafforzamento della partecipazione del paesi emergenti nei negoziati commerciali multilaterali.

4) L’aumento della cooperazione tecnica e finanziaria per lo sviluppo, riconoscendo il controllo dei paesi beneficiari sui propri piani di sviluppo e la necessità di un aumento sostanziale e di una maggiore efficacia dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS).

5) la riduzione e cancellazione del debito estero senza che ciò sottragga risorse all’APS.

6) Il rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite nella promozione dello sviluppo, la coerenza delle politiche nazionali ed internazionali, la riforma del sistema finanziario internazionale per una maggior partecipazione dei PVS e delle economie di transizione all’interno della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

 

Da Monterrey a Doha

Gli impegni assunti a Monterrey nell’aumentare i “fondi a favore di...” furono conclamati ma non ebbero seguito. Nei fatti, a parte i paesi scandinavi, si è lontani sia dallo 0,7% del Pil sottoscritto in ambito internazionale che dallo 0,33% in ambito europeo. Soprattutto l’Italia, a riguardo, sta dimostrando un forte ritardo con circa metà di ciò che ha promesso in ambito UE.

Nonostante i passi avanti in tema di debito estero permangono ancora 3,5 trilioni di dollari da pagare da parte dei paesi poveri. Questi continuano a sborsare miliardi di dollari/anno per ripagare i debiti senza aver ottenuto, in molti casi, alcun vantaggio dai crediti concessi. Si pensi, a tal proposito, ai crediti iniqui concessi a dittatori o per opere inutili che non hanno concesso alcun beneficio alla popolazione.

Sul commercio internazionale molti paesi a basso reddito risultano ancora gravemente marginalizzati rispetto ai flussi commerciali. Dazi e quote ancora impediscono l’accesso di molti prodotti dei sud nei mercati occidentali favorendo invece l’entrata di prodotti tropicali. Allo stesso tempo si continuano a sussidiare le eccedenze agricole del Nord che attraverso il fenomeno del dumping costringendo i produttori locali ad abbandonare il lavoro perché non riescono a competere con prezzi tenuti artificialmente bassi dalle sovvenzioni concesse.

Si stima che una cifra da 100 e 200 miliardi di dollari sono andati a finire nelle mani dei principali dittatori del mondo, con la complicità dei paesi creditori.

 

I risultati di Doha

La dichiarazione finale della Conferenza dell’Onu sulla finanza dello sviluppo ha deluso le ong per non aver elaborato una risposta all’altezza delle aspettative ed impegni assunti a Monterrey. Eppure sia le crisi finanziarie del 2008 che del 2012 hanno dimostrato che, quando coesistono volontà politica e la preoccupazione per il bene comune, si possono investire cifre 20 volti superiori per salvare le banche di quelle necessarie per raggiungere gli obiettivi del millennio.

Mentre gli Stati Uniti hanno impedito ogni progresso sugli APS (Aiuti per lo Sviluppo) e sui cambiamenti climatici l’Unione Europea s’è rifiutata di affrontare ancora il tema del debito, della riforma fiscale internazionale, anche con l’auspicata Tobin tax e la riforma del commercio internazionale che garantisce all’UE risorse certe.

Anche i PVS hanno gravi colpe. Molti di loro si sono rifiutati di affrontare la questione dei paradisi fiscali e dell’evasione nonostante questi drenino importanti risorse dai loro stessi paesi.

I paesi a medio reddito o emergenti sono i cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) condividono una situazione economica in via di sviluppo, una grande popolazione (Russia e Brasile centinaia di milioni di abitanti, Cina e India circa due miliardi e mezzo di abitanti), un immenso territorio, abbondanti risorse naturali strategiche e, cosa più importante, sono stati caratterizzati da una forte crescita del PIL e della quota nel commercio mondiale. Detti paesi organizzano un incontro a cadenza annuale dal 2008 per rafforzare il partenariato. Le loro economie, infatti, sono comparabili a quelle del G7 con l’aggiunta di avere popolazione molto più giovane ed economie in espansione.

 

Partenariato governativo a livello continentale

Ogni continente ha la propria struttura ove sono rappresentati gli Stati. La partnership può avvenire a livello politico come, per esempio, per l’UA (Unione Africana), UE (Unione Europea), OSA (Organizzazione Stati Americani), Lega Araba, Osce (organizzazione Sicurezza e Cooperazione Europea), SAARC (Associazione dell’Asia del Sud per la cooperazione regionale) per motivi religiosi come l’Organizzazione di cooperazione islamica, economici come il Comesa (rete di stati africani dell’est e Sudafrica), militari come la NATO o finanziarie come l’AFDB (Banca Africana per lo sviluppo). In cooperazione internazionale il partenariato avviene tra stati in modo bi o multilaterale. Il partenariato è spesso condizionato (è stato calcolato che in Africa vi sono almeno 100.000 consulenti stranieri impiegati nella valutazione delle politiche di conditionality). Vengono erogati dei fondi a paesi poveri od emergenti solo se questi aprono i mercati ed acquistano beni dagli stessi paesi donatori. Ogni donatore, a riguardo, ha un suo tipo di accountability e si stima che un paese come la Tanzania sottostà a 20.000 diversi criteri di performance all’anno imposti da più di 50 donatori diversi. Molti ministri africani perdono almeno 3 giorni alla settimana per parlare con i donatori.

 

Società civile

Anche la società civile organizzata per rispondere alle politiche governative ha le sue reti transnazionali, continentali e nazionali. Come per il governativo l’una non è disgiunta dall’altra e, come il governativo, si denota un forte ritardo di network in grado di “abitare la globalizzazione”. In Europa, per esempio, se si denota la “non volontà” degli Stati seicenteschi di rilasciare la benché minima sovranità ad un organismo sovranazionale per rispondere “assieme” all’avanzata di Cindia (Cina più India) v’è, parimenti, l’incapacità dei partiti di pensarsi transnazionali. Lo stesso dicasi per le organizzazioni sindacali che, ancorate in schemi statuali, non rispondono all’economia mondo con rappresentanze sovranazionali.

Le organizzazioni non governative, in Italia, hanno sentito il bisogno di collegarsi in rete perché d’ispirazione cristiana (Focsiv), accomunate da un “comune sentire politico” (Cocis) oppure per essere indipendenti sia dal confessionale che dal politico (Cipsi). Ma non tutte le organizzazioni hanno le stesse dimensioni ed è per questo che esiste anche un coordinamento sia tra le più grandi (link 2007) che tra quelle che hanno sedi multinazionali (Cini) o quelle che svolgono attività d’emergenza (Agire).

 

Reti e dimensioni

Link 2007, Cini ed Agire pongono una mission diversa. Nel fare rete bisogna stare attenti a collegare nodi di dimensioni diverse. Non si può mettere in rete organizzazioni caritatistiche da un lato ed organizzazioni in grado di “collaborare ad un piano di sviluppo paese” dall’altro. Un partenariato è possibile solo tra pari o anche tra organizzazioni diverse a patto che ciascuna sappia coprire un compito ben preciso nel networking. Oltre alla specificità di ciascuna rete v’è il bisogno di avere maggior voce in capitolo attraverso la rete delle ong italiane. A livello europeo v’è il Concord mentre a livello Nazioni Unite l'Ecosoc (Consiglio economico e Sociale).

 

Frammentazione

Le diverse sigle riportate possono dimostrare la frammentazione che le organizzazioni non lucrative rappresentano e la conseguente incapacità di agire politicamente ed assieme per modificare le politiche e, quindi, per organizzare campagne di advocacy.

All’uopo le reti, i Centri di Servizio Volontariato (CSV), i tavoli sui diversi temi o diverse aree geografiche aiutano a “far sistema” perseguendo peraltro l’ottavo Obiettivo del Millennio che consente di sapere le 5 w (why, when, whom, what, where) e quindi “chi fa che cosa, da quando, con chi, come e con che cosa”. Infatti è il non-partenariato, la non-conoscenza dell’altro che causa la dispersione di risorse umane e finanziarie.

Se il governativo, per esempio, riconoscesse al “non governativo” la capacità di “leggere i tempi” si risparmierebbero decenni. Un esempio su tutti: l’attuale crisi finanziaria necessita di una tassazione, benché minima, sul trasferimento transnazionale di capitali. La società civile lo propose ben 15 anni fa con la Tobin tax. Ora anche i liberisti più sfrenati sostengono la tesi. Nel frattempo, però, si sono persi 15 anni ed è arrivata per tutti, soprattutto causa speculazione, la crisi economica.

Il problema del “mancato partenariato” è talvolta di ordine psicologico e fa riferimento al “super io”. Alcune questioni non possono essere affrontate o diramate serenamente a causa delle resistenze poste da personalità che difficilmente riescono a riconoscere le ragioni altrui, confondono la personalità fisica (io) con quella giuridica. Insomma, con coloro che non hanno l’attitudine di “lavorare in rete” è ben difficile costruire un partenariato.

Un esempio, in tale direzione, sono i conflitti che si riscontrano nella co-promozione di una iniziativa comune. Spesso questi sorgono nel momento di allocare il proprio logo e di decidere le dimensioni dello stesso. “No logo” fu il successo di Naomi Klein. Il logo nel mercato è molto. Pensiamo l’attenzione e la cura che le grandi holding hanno per il proprio logo. Da loghismo non è esente il non profit. Le battaglie sulle dimensioni del logo da inserire nella comunicazione di un evento co-promosso sono all’ordine del giorno. Non solo le dimensioni che sono calibrate sulle risorse finanziarie ed umane ma anche l’allocazione. Prima o dopo altri loghi. Spesso si tratta di una vera e propria fobìa che fa perdere il focus stesso dell’iniziativa annebbiati dall’autoreferenzialità. Coloro che pretendono il logo più grande, conseguentemente, sequestrano proporzionalmente il microfono durante l’evento e poco importa se i concetti espressi non si possono nemmeno definire tali.

 

Il dilemma del prigioniero

La morale del “Dilemma del Prigioniero” è la seguente. In una situazione di competizione fra parti avverse conviene sempre darsi delle regole e rispettarle. Una sorta di “partenariato limitato”. Anche di fronte alla possibilità di avere dei vantaggi immediati, il non rispetto dei patti nel tempo non paga. In altre parole chi pensa di poter “fare il furbo”, prima o dopo, verrà punito e la reciproca sfiducia non porta vantaggio ad alcuno.

La stessa logica è quella messa in scena da una celebre sequenza del film “A beautiful mind” , che racconta la storia di John Nash, premio Nobel nel 1994, che gli venne assegnato per l'applicazione della teoria dei giochi all'economia. Nel film, il giovane Nash (l'attore Russel Crowe) è al bar con i colleghi e vede una bionda e quattro amiche che entrano nel locale. Tutti guardano le ragazze e commentano come “spartirsele”. Un amico si inserisce con intervento dotto: «Non ricordate Adam Smith, padre dell'economia moderna? Nella competizione, l'ambizione individuale serve al bene comune: ognuno per sé. E quelli che fanno fiasco finiscono con le sue amiche. Meglio una bionda oggi che una gallina domani!». Ma qui Nash replica che Adam Smith va rivisto: «Se tutti ci proviamo con la bionda, ci blocchiamo a vicenda e alla fine nessuno se la prende. Allora ci proviamo con le sue amiche e tutte loro ci voltano le spalle perché a nessuno piace essere un ripiego. Ma se invece nessuno ci prova con la bionda, non ci ostacoliamo a vicenda e non offendiamo le altre ragazze. E' l'unico modo per vincere».

Nash ha capito che i sentimenti - quelli che oggi vengono chiamati intelligenza emotiva - giocano un ruolo importante nel raggiungere il risultato voluto. Bisogna tenerne conto in un’ottica “sistemica”, cioè di gruppo. E’ l’unico modo per vincere. Adam Smith ha detto che il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé. Giusto? No, incompleto! “Dinamiche dominanti, dinamiche dominati”, avverte Nash. Perché, come da matematico ha intuito, il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé e, contemporaneamente, per il gruppo.

Il bene comune massimo si raggiunge se oltre ad agire nel mio interesse, agisco anche nell’interesse degli altri. Questo crea la vera convenienza. “Dinamiche dominanti”, per dirla con John Nash, che diventano abitudini di azione in contesti collettivi. E’ il mondo della teoria dei giochi che si apre nei rapporti in azienda: il mondo dell’integrazione necessaria (fatico meno), conveniente (ho un ritorno certo individualmente che collettivamente), ricercata (è approvata ed apprezzata dagli altri, crea reti di relazione che si rivelano utili in molti modi diversi), strategica (nel post fusioni aziendali, nelle politiche di network informativo interno). Integrazione, infine, è lavorare tutti con logiche comuni, accordandosi sulla ricerca del risultato migliore per tutti. Il singolo non deve puntare al massimo risultato ottenibile (fare l’ “asso pigliatutto”) e fare, invece, qualcosa anche per gli altri.

Nell’ambito della formazione, quando il gioco del dilemma del prigioniero viene proposto in aula, nella quasi totalità dei casi succede che le squadre rinuncino da subito ad un’ottica di vantaggio “sistemico”, anche se questo appare già evidente leggendo le regole del gioco. In questa situazione, gli allievi provano a fare la parte dei leoni, aggredendo le altre squadre. Morale: tutti perdono e intanto la spirale viziosa è innescata: pur di non far guadagnare gli altri, si accetta una sconfitta disastrosa.

La logica che prevale dunque è quella del minimizzare le perdite invece che cercare di massimizzare i profitti. In un’ottica economica questo comportamento è catastrofico. Eppure, mercati, aziende, persone spesso agiscono in questo modo perché di fronte al dilemma “collaboro o non collaboro” sembra più sicuro non collaborare, nel dubbio che l’altro non ci stia e sia, quindi, avvantaggiato nel vincere. Ma questa logica è perdente per tutti.

(Scheda realizzata il contributo di Fabio Pipinato)

E’ vietata la riproduzione - integrale o parziale - dei contenuti di questa scheda su ogni mezzo (cartaceo o digitale) a fini commerciali e/o connessi a attività di lucro. Il testo di questa scheda può essere riprodotto - integralmente o parzialmente mantenendone inalterato il senso - solo ad uso personale, didattico e scientifico e va sempre citato nel modo seguente: Scheda “Partenariato” di Unimondo: http://www.unimondo.org/Guide/Sviluppo/Partenariato

Video