Italia: impariamo dall'Africa dice il convegno di Chiama l'Africa

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"La pace in Africa è questione di vita o di morte. Siamo stanchi di sentirci dire che il perdono, la riconciliazione e la nonviolenza sono non politici. Ribadiamo la politicità del perdono, della nonviolenza, della pace". Le parole di Eugenio Melandri, coordinatore di 'Chiama l'Africa', sintetizzano il messaggio della tre giorni di convegno internazionale "'L'Africa in piedi a gridare la vita e a guarire le ferite" (19-21 marzo) conclusosi ieri ad Ancona. Nonostante due grandi assenti, il Premio Nobel per la pace Desmond Tutu e il Ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, il Convegno ha visto la partecipazione di quattrocento persone tra cui molti universitari, volontari, missionari e rappresentanti di ong attive nel continente africano.

"L'Africa ad Ancona perché è importante che gli enti locali, le piccole realtà sappiano dove va il mondo. Dall'Africa i segnali sono contrastanti, tante difficoltà ma anche cooperazione, sviluppo, cambiamento. Il segnale che vogliamo lanciare è positivo, in un momento di grande incertezza, dove la politica deve tornare a fare proposte" - ha dichiarato in apertura il sindaco di Ancona Fabio Sturani. "Siamo qui, parlando di Africa, ma siamo anche a Roma" - hanno sottolineato gli organizzatori inaugurando l'incontro. Il legame con la manifestazione della pace di Roma è dato anche dalla relazione della dottoressa congolese Colette Kitoga che, dopo aver fatto il punto ad Ancona sulla difficile transizione verso la pace nella zona dei grandi laghi africani, ha parlato il giorno successivo dal palco romano della manifestazione mondiale per la pace.

Ma il legame con la questione della guerra e con i processi di riconciliazione va ben oltre i fatti iracheni. "Noi sappiamo fare la guerra, l'Africa ci insegna la pace" - ha notato Eugenio Melandri. Quest'anno ricorrono importanti date della recente storia africana, quali il decennale della fine del regime di apartheid in Sudafrica e dell'orribile genocidio del Rwanda. "Il Sudafrica e il Rwanda sono la chiave per capire e cambiare il futuro non solo del sud del mondo. A fatica, i paesi africani, la società civile, le organizzazioni religiose propongono percorsi di perdono e riconciliazione, non per eccesso di buonismo, ma perché la pace in Africa e questione di vita o di morte" - ha continuato Melandri. "Ci siamo stancati di sentirci dire che il perdono, la riconciliazione e la nonviolenza sono non politici. Ribadiamo la politicità del perdono, della nonviolenza della pace".

Le tante esperienze della società civile, delle organizzazioni di contadini, di donne, di senzacasa, come quelle dello stesso Sudafrica presentate dal video "We are the poor" del regista Michele Citoni, dimostrano che dal basso nasce la risposta - notano gli organizzatori. Nella pacificazione per il superamento dell'odio, sia in Sudafrica che in Sierra Leone hanno funzionato commissioni molto ampie formate da tutti i gruppi che volevano la fine delle ostilità, dell'apartheid. Anche se la situazione è drammatica ancora in troppi paesi, come la Repubblica Democratica del Congo, in cui l'impegno deve essere rafforzato, intensificato. I conflitti africani sono le "guerre dimenticate" dall'occidente ricco: ma l'attenzione delle associazioni italiane non è mai mancata - ribadiscono gli organizzatori.

Dall'appuntamento marchigiano emerge l'impegno a "riflettere sull'intervento che operiamo in Africa, su una cooperazione che non deve calare dall'alto, ma deve essere condivisa e praticata con la società civile dei paesi africani". Dal convegno, organizzato col patrocinio del Comune e della Provincia di Ancona e della Regione Marche, nasce un'importante proposta: "costituire una rete tra le università e le associazioni che si occupano di cooperazione e sviluppo". [GB]

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