Referendum: l'ennesimo suicidio della democrazia

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Poche righe. Servono solo poche righe per raccontare l’ennesimo suicidio della nostra democrazia, schiantatasi ancora una volta su un misero 28% di elettori alle urne. Non aver raggiunto il quorum è l’ennesima prova di quanto sta accadendo nel nostro Paese. La convinzione che la democrazia sia superata, inutile, si è radicata nella pancia e nella testa degli italiani, troppo occupati a sopravvivere mentre coltivano il sogno di diventare ricchi e impuniti. La miseria, si sa, va di pari passo con l'illusione. Non è un caso che nei Paesi più poveri al Mondo ci sia il maggior numero di lotterie.

Contemporaneamente, si è fatta strada nella testa di chi vuole comandare senza vincoli e limiti,  la convinzione che le dittature funzionino meglio, se si travestono da democrazie. I tempi - e i comportamenti degli umani - sembrano dar loro ragione. Non servono eccessi militari o violenze evidenti: basta lasciare ciascun cittadino e cittadina nella convinzione di essere liberi e sicuri. Il gioco, così, è fatto. E lo scivolamento verso “l’autoritarismo consenziente” è cosa naturale e indolore.

Così, non si va a votare perché "tanto sono tutti uguali”. Si affossano i partiti, trasformandoli come oggi sono in comitati elettorali, perché “tanto è tutto un magna-magna”. Non si partecipa alla vita collettiva, si lascia che furfanti, speculatori e approfittatori di turno si arricchiscano smembrando lo stato sociale e sostituendolo con “servizi privati” o distruggendo diritti sul lavoro e salari.

Tutto ciò che è collettivo sembra diventato infetto: come la peste nera. E come negli anni della peste nera, chi può si rifugia in campagna, lontano da tutto e tutti. Gli altri, si chiudono in casa, disertano la piazza, la strada, il clamore popolare, lo stare insieme. Disertano i seggi, le idee, il confronto. Noi viviamo tempi da peste nera. Avere affossato i referendum ascoltando gli appelli dei monatti e degli untori che vogliono distruggere Costituzione e democrazia, significa vive da appestati, anche senza saperlo.

C’è rimedio? Sì, c’è. È tornare a parlare di politica per quello che è: lo strumento individuale e collettivo della nostra libertà. È tornare a riprenderci le strade e le piazze. È tornare alla rivolta, alla disobbedienza, al dubbio. È tornare ad eleggere rappresentanti di ideali e non rappresentanti di interessi spiccioli, immediati e anche un po’ loschi. È tornare ad educare tutti alla democrazia, alla lotta, al dialogo, al dibattito, al divertimento, ai colori. È smetterla di essere tolleranti verso chi non lo è mai stato e non lo sarà mai.

Sono strade pratiche e possibili. Possiamo cominciare domani a cambiare le cose. L’importante è smetterla di essere indifferenti, pensando che nulla di tutto questo ci riguardi. La peste nera, quella che uscita nuovamente  dalle fogne, si nutre proprio di indifferenza.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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