Lo sciopero della fame a Guantánamo

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Sono sei settimane che un gruppo di prigionieri nella base Usa di Guantánamo è in sciopero della fame. Il numero degli scioperanti continua ad aumentare –sono ormai trentasette- e le loro condizioni di salute a peggiorare, tanto che i loro avvocati hanno presentato una dichiarazione giurata di uno psichiatra e generale in pensione dell’esercito, Stephen Xenakis che denuncia la volontà dei guardiani del carcere di mantenere alta la tensione fra quelle gabbie bruciate dal sole.

Tutto è cominciato il 6 febbraio scorso, quando un’ispezione di routine si è trasformata, secondo i reclusi, in un’operazione di violenza psichica e disprezzo dei costumi dei detenuti islamici con “profanazione” del corano. Delle 166 persone tenute in gabbia nella base militare che gli Stati Uniti continuano a tenere nell’isola di Cuba, un gruppo non piccolo ha dichiarato (e non era la prima volto) lo sciopero della fame. Convinto che il tutto sia un pretesto per richiamare l’attenzione sulla spinosa questione di questo carcere illegale che Obama, nonostante la promessa durante la sua prima campagna elettorale, non prova nemmeno più a chiudere, il generale Kelly che da novembre manda avanti la base, insinua che il realtà i detenuti si nutrono e che, vista la loro abitudine di mangiare su un piatto collettivo, non è facile stabilire chi si nutre e quanto.

Come che sia, a Guantánamo vi sono persone recluse da undici anni la metà dei quali ha già ottenuto l’autorizzazione delle autorità militari per essere trasferiti altrove. Purtroppo, nessuno vuole accogliere questi sfortunati, alcuni dei quali sono addirittura privi di qualsiasi incriminazione e non hanno ancora mai visto un giudice. Guantánamo è ormai nel linguaggio giornalistico un labirintico buco nero che ha inghiottito qualche centinaio di esseri umani la cui sorte è un grande punto interrogativo in violazione di qualsiasi legge locale o internazionale.

Una Commissione della Croce Rossa Internazionale ha anticipato una sua ispezione alla base proprio per le denunce degli avvocati sulla gravi condizioni di salute dei reclusi in sciopero della fame, ma i risultati di questa ispezione non verranno resi noti.

In tutta questa nebbia istituzionale, in tutta questa illegalità statale, per i reclusi c’è solo una certezza. Che l’unico modo per abbandonare Guantánamo è la morte.

Alessandra Riccio

Fonte: giannimina-latinoamerica.it

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