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Immigrazione: l'emergenza in mancanza di politiche organiche
Giustizia e criminalità
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Dettaglio di una foto di Zeroincondott★ da Flickr.com
Chi fra di voi quest’estate ha preso un volo aereo e, al momento dell’imbarco, ha sentito una battuta sulla consueta “incapacità” degli italiani di formare una fila? E a seguire, risate condivise. È un grande classico dire che l’organizzazione non sembri rientrare nel DNA degli italiani, così come invece lo è l’arte di arrangiarsi e di trovare scappatoie alle regole.
È un esempio lampante di questa attitudine anche la politica migratoria dell’Italia. Parlare di “politica” è forse eccessivo, dinanzi all’assenza di prospettiva di lungo termine di alcuna delle leggi che sono state approvate alla fine della Prima Repubblica, cui sono puntualmente seguite sanatorie di ogni genere. Siamo a 20 anni dall’approvazione della cosiddetta “Bossi-Fini”, legge 189 del 30 luglio 2002 con la quale l’allora vicepresidente del Consiglio dei Ministri, il presidente di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, e il leader della Lega Nord e ministro delle Riforme istituzionali Umberto Bossi modificarono la precedente “Turco-Napolitano”, che nel 1998 aveva creato nel Paese i cosiddetti Centri di permanenza temporanea (CPT), introducendo di fatto una sorta di detenzione amministrativa. I CPT si trasformarono da edifici per “ospitare” i migranti a luoghi dove confinare gli stranieri giunti in Italia privi dei documenti attestanti l’identità. Si introdussero i respingimenti in mare in acque extraterritoriali, si eliminò la possibilità che vi fossero “sponsor” di garanzia per il migrante in arrivo, venne ridotta la durata dei permessi di soggiorno e introdotto il rimpatrio in caso di perdita del lavoro o del mancato raggiungimento del reddito minimo previsto per legge. Con la Bossi-Fini nasce il reato di clandestinità e tutta una terminologia popolare che riduce il migrante a clandestino, colpevole di aver violato la legge per il solo fatto di essere entrato in territorio italiano e dunque meritevole di essere espulso e privato di ogni diritto.
Ma, come detto inizialmente, siamo in Italia! Nel 2002 il governo Berlusconi, dopo aver dato “circenses” alla popolazione entusiasta di frenare gli arrivi degli immigrati nel Belpaese, capì ben presto che occorreva dare anche “panem”. E quest’ultimo necessitava di braccianti e badanti, così come di camerieri, colf e operai. Ragione che indusse a sancire tra il settembre 2002 e il dicembre 2003, quindi a seguito dell’entrata in vigore della legge, una enorme sanatoria: 247.000 lavoratori vengono regolarizzati e passano da “clandestini” a “lavoratori necessari”. Il rigore dettato dai malumori della pancia delle destre scende a patti con la ragionevolezza di un tessuto sociale ed economico che dei migranti non può fare a meno. Non sarà né la prima né l’ultima sanatoria nella storia recente del Paese: dopo quella prevista di fatto dalla legge stessa, sono seguite quelle del 2009 e del 2011, entrambe peraltro poste in essere da governi di centrodestra. Dalla Bossi-Fini al Pacchetto sicurezza del 2008 del ministro dell’Interno Maroni, che inasprisce il reato di clandestinità e chi lo favorisce, fino ai Decreti sicurezza varati nel 2018 dal segretario della Lega Matteo Salvini, nel ruolo di ministro degli Interni nel governo Conte I, poi smussati nel 2020 negli aspetti più controversi sull’abolizione della protezione umanitaria e la sospensione della richiesta di asilo nel successivo governo PD-M5S.
Torniamo però alla nostra fila agli imbarchi e alla necessità di fare sanatorie anziché progettazione di lungo periodo. Le notizie recenti sui quotidiani raccontano la costante incapacità dei Centri, ora chiamati CPR, Centri di permanenza per il rimpatrio, di gestire il flusso di migranti in arrivo dal Mediterraneo e dai Balcani. I numeri non ne sono però la ragione, al contrario di quanto suggerito dalla nuova campagna elettorale in atto: dati del Viminale alla mano, gli arrivi sulle coste italiane sono in aumento rispetto al 2021 (41.506 dal primo gennaio al 31 luglio 2022 contro i 29mila dell’anno precedente) ma sono meno della metà di quelli degli anni precedenti (nel 2016 si contavano 93.774 persone). Dunque le criticità dell’accoglienza italiana dei migranti appare sistemica, dovuta a un’organizzazione scarsa e miope. Un esempio? È impensabile che un hotspot fondamentale per la sua posizione come Lampedusa, con capienza di 350 posti, ne contenga attualmente oltre 2mila, e che non ci sia trasparenza alcuna sul sistema di gestione dello stesso (a chi è affidato il Centro, quali sono i numeri reali e le condizioni interne?). Si continua ad agire seguendo pure logiche emergenziali anziché gestire il fenomeno migratorio, con l’incremento quindi delle tragedie in mare, delle condizioni disumane di vita (detentiva) nei CPR e della percezione del pericolo del migrante, anziché prevedere una rete di coordinamento tra forze dell’ordine e organizzazioni umanitarie per garantire soccorso, accoglienza e risorse utili non solo ai migranti ma anche al nostro Paese. Occorre fare attenzione a ciò che le norme di contenimento delle migrazioni hanno realizzato in questi anni: più sicurezza e legalità o semplicemente un aumento del numero degli stranieri irregolari?
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.