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Attiviste saudite lanciano campagna contro ‘case-prigioni e tutela maschile’
Giustizia e criminalità
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Sto: Unsplash.com
Un gruppo di attiviste saudite ha lanciato su Twitter una campagna di sensibilizzazione e protesta contro le violenze che subiscono, ancora oggi e nonostante i timidi tentativi di riforma, le donne nel regno wahhabita. Nel mirino le pesanti restrizioni ai movimenti, allo sviluppo personale, alla realizzazione professionale retaggio di una società arcaica e patriarcale, favorita da una visione radicale dell’islam che trova nel sistema della guardia maschile la massima espressione della privazione di libertà.
L’iniziativa permette alle donne di condividere sui social le esperienze personali di “prigioniere” nelle loro stesse case ed evidenziare le limitazioni alla socialità. Per questo le promotrici hanno coniato l’hashtag #HomeDetaineescon l’obiettivo di accrescere consapevolezza e conoscenze di “donne che languono a casa”, un luogo considerato “paradiso per l’uomo e tomba della donna”.
Obiettivo della campagna è l’abolizione del sistema di “guardia maschile”, una norma che impone di fatto il controllo di un uomo - sia esso il padre, il marito o un fratello - sulla vita della donna, decidendo del futuro sotto il profilo “educativo, professionale e sanitario”. Vi è inoltre la richiesta di “indipendenza di movimento e decisione” per quanto concerne aspetti della vita personale, cercando di liberare tutte le donne che si sentono “intrappolate nella propria abitazione”.
In queste settimane diverse donne hanno sfruttato la piattaforma per condividere esperienze personali segnate da sofferenze, privazioni e dolore fisico e spirituale. “La mia prigione - scrive una internauta che nasconde il proprio nome - soffoca passioni e aspirazioni […] mi ha causato una grave depressione e atteggiamenti ossessivi, oltre ad affliggermi con migliaia di disturbi psicologici”. Un’altra denuncia “tutte le forme di violenza a livello fisico, psicologico e materiale”. Un’altra ancora riferisce di una “sorveglianza continua” che non permette nemmeno “la privacy di chiudere la porta di una stanza a chiave”. E ancora, la testimonianza di una donna che si reputa “un mobile del soggiorno” mentre osserva “l’età e la giovinezza passare intrappolata fra quattro pareti”...