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Al freddo e al gelo: Un Natale senza speranza
Giustizia e criminalità
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Tutto sembra inutile: appelli, sottoscrizioni di Curia e parrocchie, attivismo delle associazioni. Non cambia nulla e a quattro anni della rivolta dei lavoratori stagionali stranieri sfruttati e ridotti in semi-schiavitù dalla malavita organizzata, nella Piana di Gioia Tauro si registra un altro morto di fame e freddo.
Chissà quanti sogni aveva Man Addia. Stava provando a realizzarli: dalla lontanissima Liberia, martoriata dai postumi di una spossante guerra civile conclusasi nemmeno un decennio fa, era partito per migliorare la sua vita, per averla, una vita. Portato dall’onda dei flussi migratori era giunto in Calabria e aveva cercato un lavoro onesto come raccoglitore di agrumi nei campi di Rosarno, cittadina della Piana di Gioia Tauro, intenta da anni a cercare di contrastare il sistematico sfruttamento dei lavoratori stranieri e non, che ogni hanno vengono arruolati nel periodo autunnale.
Man Addia, non c’è più, è morto all’interno di un’auto abbandonata che aveva adattato a rifugio, similmente a tanti suoi compagni di sventura che, sottopagati e malnutriti, al calare delle sera dopo 10 o 12 ore di lavoro praticamente ininterrotto, cercano riparo come possono nelle baracche e nei ruderi presenti attorno alla tendopoli di San Ferdinando, uno struttura predisposta dalla protezione civile anni fa e capace di dare asilo, senza luce e acqua corrente, a circa seicento persone a fronte delle migliaia di immigrati presenti in zona per la raccolta stagionale di arance e clementine.
Emblematica la testimonianza del giornalista Antonio Maria Mira dalle colonne di “Avvenire”.
“Prima che sia troppo tardi- è la frase che abbiamo sentito più volte nel nostro ultimo viaggio a Rosarno e negli altri paesi della Piana di Gioia Tauro. Ce lo hanno detto gli immigrati, i volontari, i parroci, i sindaci. Per Man Addia, 31 anni, liberiano, è stato purtroppo davvero “troppo tardi” e questo mentre il grosso dei lavoratori deve ancora arrivare ed il Centro di accoglienza in costruzione a Rosarno su un terreno confiscato alla ’ndrangheta è bloccato perché una delle imprese è stata raggiunta da un’interdittiva antimafia. Così a quasi quattro anni dalla rivolta del gennaio 2010, quando gli immigrati reagirono alle violenze e allo sfruttamento di ’ndragheta e proprietari terrieri, nulla e cambiato. Malgrado le denunce della Chiesa locale e dei sindaci della zona.” Chiesa e Comuni della zona cercano di fare quello che possono, rastrellando fondi e cercando ogni sostegno immaginabile ma, puntualmente, le risorse finiscono, la luce e il riscaldamento della tendopoli vengono staccati e l’odissea ricomincia. Il Vescovo di Oppido-Palmi, Monsignor Milito, ed i Sindaci hanno fatto fronte comune e cercano di scuotere e svegliare un’istituzione statale che appare sempre più sorda e lontana. E intanto, in Italia, nel 2013, chi è venuto per lavorare muore, di fame e freddo.
Ma quello di Rosarno è solo un esempio, i recentissimi fatti di Prato, dove sette lavoratori-schiavi cinesi hanno drammaticamente perso la vita, dimostrano che tutta la Penisola è interessata da fenomeni di sfruttamento e lavoro nero; un giro di affari milionario, gestito senza scrupoli e nessuna attenzione e rispetto per gli esseri umani che ne sono fagocitati, divenendone spesso vittime.
Preoccupato e sbigottito per l’accaduto, il Presidente Napolitano ha recentemente scritto una missiva al Governatore della regione Toscana sottolineando la “condizione di insostenibile illegalità e sfruttamento” da tempo conosciuta che ha causato il fatale incidente e spronando tutti gli amministratori e le forze dell’ordine a fare più e meglio. Ma questo non basta. La domanda che nasce spontanea è: esiste un limite a questo stato di cose? Allargando la visuale in riferimento allo sfruttamento, nell’agosto di quest’anno Save the Children ha presentato il risultato di uno studio dal titolo assai eloquente “Piccoli schiavi invisibili”, secondo il quale il nostro Paese sarebbe il primo in Europa per numero di minorenni sfruttati a vari livelli: dalla prostituzione, all’espianto clandestino di organi, all’accattonaggio forzato. L’informazione è sconcertante e richiede leggi e controlli ad hoc e azioni tempestive. Quelle messe in campo da centri di assistenza diocesani e laici, infatti non sono in grado di sopperire da soli al crescente bisogno di interventi radicali in merito.
Con tutto il rispetto per il teatrino della politica, i problemi della nostra nazione oggi, sia per chi in Italia è nato che per chi ci è venuto nel tentativo di realizzare un’esistenza migliore, non sono né l’IMU, demagogica e risibile finta battaglia parlamentare, né la decadenza di vecchi senatori pregiudicati e sessuomani, bensì il diritto al lavoro, alla vita in condizioni civili e alla sicurezza dei minori di ogni provenienza. In una parola, il diritto alla dignità, da realizzare per noi e per il prossimo con l’impegno e l’azione quotidiane. Buone Feste.