Spagna, la crisi finanziaria travolge le regioni

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La “crisi delle regioni” è stato il il titolo dell’editoriale de El País all’indomani dell’annuncio della Catalogna sulla possibilità di ricorrere ad un aiuto finanziario statale per far fronte al debito accumulato in anni di boom economico. Si tratta, in effetti, della terza regione spagnola che ammette l’incapacità di far fronte ai debiti in maniera autonoma dopo la Comunidad Valenciana e Murcia, in un effetto domino che minaccia di fare molte altre vittime tra le comunità autonome spagnole, e non solo. Si tratta, in altre parole, di una nuova fase della crisi finanziaria, che travolge amministrazioni regionali e locali in Spagna come in Italia, dove non a caso si è appena approvato un provvedimento di taglio drastico alle risorse destinate ai governi locali e regionali.

Tuttavia, che a dover chiedere aiuto sia la ricca Catalogna fa molto rumore. Prima di tutto, perché la Catalogna non è una regione, ma la regina delle regioni d’Europa: conosciuta in tutto il mondo, il suo ufficio di rappresentanza a Bruxelles è più grande e centrale delle ambasciate degli Stati nazionali. In secondo luogo, il rischio di naufragio catalano significa anche la fine di un possibile modello alternativo al capitalismo globalizzato, quello dello sviluppo cosmopolita in salsa regionale, l’eccentrico glocal capace – si pensava – di superare gli stati nazionali in quanto a effervescenza culturale e produzione materiale. La Catalogna è effettivamente culturalmente florida e dinamica, ma questo è frutto di anni di indebitamento che ora la crisi finanziaria globale ha messo allo scoperto.

Con tutta probabilità non sarà una bolla drammatica come quella irlandese di tre anni fa, se non altro perché rispetto all’Irlanda i problemi strutturali della Catalogna sono meno endemici e il boom economico è stato più graduale e, oggettivamente, più sostenibile di quello irlandese, basato su tassi di prestito insostenibili, un’esplosione incontrollata dell’edilizia, e un livello di pressione fiscale sulle grandi imprese completamente sballato rispetto al resto d’Europa. Dal punto di vista politico, tuttavia, questa situazione assume una valenza simbolica straordinaria perché stravolge i rapporti di coesistenza tra stato centrale e le sue periferie, da sempre tallone d'Achille e motivo di gravi conflittualità nella Spagna post-franchista.

Si tratta di un colpo durissimo per l’orgoglio catalano, oltre che di una mazzata improvvisa alla forza politica delle rivendicazioni autonomistiche. È una crisi economica che, al contrario del caso alto-atesino di cui avevamo parlato tempo fa, rischia di costringere all’angolo le rivendicazioni nazionalistiche della minoranza. Non è un caso che il portavoce del governo autonomo, Francesc Homs, abbia evitato accuratamente di pronunciare la parola "salvataggio", tentando di minimizzare la portata dell’evento. Come lui, tutti i politici catalani sono alla ricerca di una narrativa dignitosa di questi sviluppi inattesi e lamentano la “connotaciòn catastrofista” dei media. Il ministro delle finanze della Generalitat, Andreu Mas-Colell, primo ad annunciare alla BBC la possibilità (forzata) di chiedere un aiutino allo Stato spagnolo, ora dice che rifiuterà ogni diktat politico in cambio dell’aiuto economico. Ma sembra difficile che la Catalogna possa ricevere liquidità da Madrid senza dover cedere parte delle proprie prerogative autonome faticosamente raggiunte negli anni.

Le prime conseguenze di questa situazione, infatti, non dovrebbero tardare ad arrivare: proprio in questo momento, ad esempio, il parlamento regionale discute il “patto fiscale” con cui intende rinegoziare con Madrid la partecipazione della Catalogna al sistema fiscale nazionale. L’obiettivo dei parlamentari catalani è quello di ridurre il contributo al fondo di finanziamento delle altre regioni e conservare più risorse economiche seguendo il modello dei Paesi Baschi, che rappresentano l’eccezione nel panorama fiscale spagnolo. E tuttavia questa richiesta di aiuto dovrebbe, secondo molti giornali spagnoli costringere la Catalogna a lasciare da parte il patto fiscale.

Questo sembrerebbe quasi un successo per Mariano Rajoy, da sempre piuttosto critico verso l’eccessiva autonomia delle comunità spagnole, e soprattutto di quella catalana, spesso antagonista al suo partito in termini elettorali. È tuttavia un successo paradossale: il quotidiano La Vanguardia ironizza proponendo un parallelo tra la situazione attuale e la reazione di Mariano Rajoy davanti all’aiuto per le banche spagnole concesso dall’Unione Europea. Questo appello al sostegno arriva nel bel mezzo della tempesta finanziaria che ha colpito la Spagna e l’eurozona. La Catalogna, insomma, chiede liquidità alla Spagna subito dopo che quest’ultima ha dovuto chiedere liquidità all’Unione Europea. È forse proprio questa la carta migliore che il governo catalano può giocarsi: come Rajoy, l’esecutivo catalano nega il salvataggio finanziario riducendo l’operazione a una linea di credito e limitando le condizioni soltanto al denaro prestato. Se poi andasse a finire come per Rajoy e la Spagna, questo forse non sarebbe particolarmente conveniente per il governo Catalano. Ma a questo punto della crisi, le preoccupazioni economiche dell’oggi hanno ormai superato anni di rivendicazioni e nazionalismo politico.

Lorenzo Piccoli

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