Iraq: il difficile 'rebus' della Costituzione

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Tra poco più di due settimane, il 15 ottobre, gli iracheni e le irachene saranno nuovamente chiamati alle urne per votare nel referendum sulla Costituzione. La versione ufficiale del testo e' stata consegnata in ritardo alle Nazioni Unite, che devono ancora stamparla e distribuirla alla popolazione. L'attenzione adesso si concentra sulle posizioni che prenderanno i leader più influenti in merito al referendum stesso. Sembra scontato che tutti ( o quasi) inviteranno a votare, ma resta ancora da stabilire che indicazione di voto daranno. Secondo quanto riportato da organi di stampa, ma non confermato, il grande ayatollah Ali al Sistani si sarebbe pronunciato per il si, mentre uno dei portavoce di Moqtada Al Sadr ammette che non c'e' ancora una posizione ufficiale. Il partiti sunniti sono per la maggior parte per il no, come sostiene anche Saleh Mutlaq mediatore per parte sunnita nel comitato per la Costituzione.

Ma la campagna elettorale rischia di essere oscurata da altre questioni, tra cui la ormai sempre più pressante richiesta di ritiro delle truppe prima di qualsiasi altra consultazione popolare, sia essa referendaria o elettorale. Quanto avvenuto nei giorni scorsi a Bassora, quando le truppe inglesi hanno liberato con la forza due loro commilitoni arrestati, riapre il dibattito sulla sovranità dell'Iraq e delle sue forze di sicurezza. E nei paesi dei governi legati alla coalizione inasprisce ancora di più il dibattito su un eventuale ritiro. Il governo iracheno non brilla nel frattempo nè per trasparenza ne' per onestà, se e' vero che i suoi ex ministri sono stati messi sotto accusa per corruzione, una corruzione che tra l'altro peggiora ancora di più la situazione sociale, impedendo l'accesso al cibo a gran parte della popolazione.

Se questo non bastasse a rendere difficile una campagna referendaria così delicata, le operazioni militari continuano a far fuggire le popolazioni di intere città. Non sono ancora rientrati i profughi di Tal Afar che già e' iniziata la fuga degli abitanti di Samarra , terrorizzati dalle voci di irruzioni statunitensi.

E quando non sono i carri armati ad intervenire, bastano anche le truppe ordinarie, che prendono possesso dei tetti e delle case per colpire i "nemici", arrestando in maniera indiscriminata, come denunciato persino dal Ministro della Giustizia iracheno. E mentre in America si conclude il processo a Lyndye England, giudicata colpevole per sei reati su sette, Human Righs Watch pubblica un nuovo rapporto sulle torture, realizzato grazie alle testimonianze di chi le torture le ha praticate: ma questo tema non riesce ad entrare nell'agenda del pacifismo americano.

Fonte: Osservatorio Iraq

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