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Quando l'amore e il tormento diventano bellezza
Codici di condotta
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Immagine: Mondadori.it
Ritorno in veste giornalistiche per parlavi, come sempre e dunque ancora una volta, di poesia. Oggi lo faccio attraverso un libro che si intitola ‘Versi di libertà’ in cui l’autrice, Maria Grazia Calandrone, ha letteralmente messo assieme 30 poetesse da tutto il mondo.
Le ha scelte, come scrive nella prima frase di questa sua preziosa opera, “perché sono libere”. “Libere”, poi spiega, “dalla convenzione della scrittura (che si chiama canone) e libere dalla più grave e incisiva convenzione sociale”. Sì, perché questo incontro internazionale sulla carta fra poetesse è un raduno di anime ribelli: di persone che sono state immobili nella loro ricerca della verità. Di persone prima di tutto affamate di vita e di conseguenza bisognose di percepire il retrogusto che, anche un’estasi di soli cinque minuti di esistenza libera, avrebbe potuto donarli.
In queste 200 pagine edite in primavera da Mondadori è possibile conoscere la vita di ognuna delle poetesse, e anche, per ciascuna di loro, alcune delle loro poesie scelte dall’autrice con sentimento. Si sente infatti, leggendolo, che è un libro che nasce da una volontà incondizionata, da un innamoramento verso la poesia. Si percepisce, insomma, che quello della scrittrice, prima di essere uno studio approfondito, un chirurgico esercizio di analisi, di elaborazione e infine di argomentazione dei contenuti, è prima di ogni altra cosa un richiamo nato, sorto, nel ventre.
“Le ho prelevate”, scrive Maria Grazia Calandrone, “da tutte le parti del mondo, perché a parole rispondessero parole e a vita, vita”. Questa affermazione, oltre a essere una spiegazione del lavoro che la scrittrice ha magistralmente realizzato, è anche una risposta alla poesia. Una risposta che esiste senza essere stata mossa da una domanda. Sì, perché parlando di una poesia, questa, oltre a leggerla, la si può sfiorare come si sfiora un corpo. Una poesia è da guardare come si guarda una casa, una strada, una bandiera. Perché la poesia non si esaurisce leggendola, la poesia preservandosi preserva la vita: è qualcosa da toccare per questo leggerla è un gesto sensuale. Ha una forma e si forma prima di qualsiasi genere letterario. La poesia è ante, è il richiamo, il fischio di Eros prima del concepimento. E le parole, nella poesia, danno sostanza alle cose: sono dita che modellano la pelle, la plasmano, per trasformarla in un corpo con un’anima. La poesia infatti è una donna, è un uomo, è un tocco di legno, è una caraffa di vetro, una cosa che si impone, che ti taglia quando la leggi, che ti abbraccia quando ti avvicini. Leggerla è una carezza, uno schiaffo. È il più bello dei baci.
“Per queste donne”, continua nella sua introduzione «la nostra» autrice prima di ridare vita alle poetesse, “il mondo non è uno specchio”, e chiarisce: “non hanno cercato se stesse nel mondo, hanno cercato il mondo in se stesse”. Dopo di che lo hanno fatto vedere così come lo hanno trovato dentro. Eccome se lo hanno fatto vedere, e allo stesso modo lo hanno fatto annusare, toccare. Chi invece lo ha fatto persino udire. Chi ha fatto si che questo mondo fosse ascoltato, chi ancora è riuscita a farlo parlare: a far sentire non solo la voce del mondo, ma anche il suono dell’universo, di quello spazio che si pensa infinito forse perché il nostro occhio è finito.
Per fare qualche esempio, in queste pagine pregne di vita, che si possono strizzare, troviamo poetesse che hanno raccontato la Shoah a suon di versi, come Nelly Sachs, di cui riporto qui sotto la sua poesia ‘Vecchi’:
Stanno lì, / nelle pieghe di questa stella, / coperti da un brandello di notte, / e attendono Dio. / Una spina gli ha serrato la bocca, / la parola gli si è persa negli occhi / che parlano come fontane / in cui è affondato un cadavere. / Oh, vecchi, / che portano negli occhi, unico avere, / la loro bruciata discendenza.
Chi invece, come l’adorabile Nina Cassian, una poetessa innamorata della sua terra, la Romania, è riuscita a fare un ritratto quadridimensionale, ma in versi, dei poeti:
Poeti / i misteriosi, / gli schietti, / una scatola cranica per elmo, / per scudo un velo di cellofan, / poeti, / questa specie, queste seppie / che si difendono / schizzando inchiostro.
Questi fantastici versi, invece: Una volta / aprendo il frigorifero / è capitato anche a me di dire: / c’è qualcosa di marcio in Danimarca, sono dell’italiana Giulia Niccolai, una grande artista milanese che espirava simpatia a ogni respiro. Capace traduttrice e abile fotografa, riusciva ad infilare infiniti cerchi di cura nei suoi sguardi quando metteva a fuoco le cose, il mondo, la vita. E poi, ancora, la giapponese Aikiko, adorabile, che riuscì, come spiega lucidamente la Calandrone, a introdurre “una nuova immagine femminile” sia nella poesia giapponese sia nella cultura nipponica, tipica per essere smisuratamente fedele all’andamento dei binari tracciati dalla tradizione. Aikiko scrive:
Un tempo fui più sublime degli dèi, avvolta nell’alto profumo della mia sottoveste di seta. Delle parole, a quei tempi (stiamo parlando di inizio Novecento), non solo sconvenienti, ma scandalose. Degli schiaffi dati di notte capaci di svegliare chi stava dormendo da tempi immemori nel buio di alcune stanze polverose, e blindate da secoli.
Poi ancora, la poetessa statunitense Anne Sexton fra le prime persone a sostenere l’evidente, ma non per questo sostenuta, importanza di trovare un equilibrio nella vita. Un po’ come se il segreto per vivere bene fosse avanzare nel mondo da funamboli, sfatando così – e finalmente aggiungo - il mito della follia vista come uno stato romantico, ma come, usando ancora una volta le parole della Calandrone, “perdita e paura”.
Questa valorosa opera, e qui mi avvio verso la conclusione, oltre a essere un prezioso contributo sugli scaffali italiani della poesia la cui lettura, scorrevole e semplice, è in grado di arrivare a tutti, ci fa altresì comprendere che “la poesia mette in scena”, per citare anche sul finale l’autrice del libro, “la vita di chi la scrive, e quando il legame è tanto inestricabile, possiamo assistere al miracolo alchemico della vita (pace e ingiustizia, amore e tormento) che diventa bellezza”.
Francesca Bottari

Sono nata a Cles il 15 settembre 1984. Dopo essermi laureata in Lingue e Culture dell’Asia Orientale a Venezia, ho vissuto in Cina e in altre nazioni. In passato mi sono occupata di giornalismo e di inchieste. Oggi vivo a Bassano del Grappa, dove ogni giorno mi alleno a vivere scrivendo poesia: francescabottari.it