Sri Lanka: appelli al dialogo per evitare il conflitto civile

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Si susseguono gli appelli alla mediazione e al dialogo per evitare che lo Sri Lanka sprofondi di nuovo in un conflitto civile. La Caritas Internationalis, attiva sull'isola con progetti di solidarietà e sviluppo, rafforzatisi all'indomani della tragedia dello tsunami, ha diffuso un messaggio in cui si definisce l'eventuale guerra "un secondo tsunami". Per questo l'organizzazione - che riunisce 162 organismi di carità presenti in 200 fra paesi e territori - richiama la comunità internazionale a compiere uno sforzo urgente di mediazione per comporre il conflitto fra il governo e i ribelli Tamil.

La situazione nel paese è peggiorata dopo l'attentato di una donna kamikaze avvenuto di recente nel quartier generale dell'esercito a Colombo (gesto condannato dai Tamil) e dopo l'offensiva militare lanciata dalle truppe regolari nelle aree controllate dai guerriglieri Tamil nel Nord e nell'Est dello Sri Lanka. Secondo la Caritas, l'insorgere di un nuovo conflitto avrebbe effetti deleteri a livello sociale e potrebbe annullare gli sforzi compiuti in passato e tuttora in corso per aiutare le famiglie e le comunità colpite dallo tsunami del 26 dicembre 2004.

Oggi almeno dieci ribelli Tamil sono morti in una vasta offensiva della guerriglia separatista contro una fazione dissidente nell'est dello Sri Lanka - riferiscono fonti militari. Ma i ribelli rivendicano l'uccisione di 20 combattenti dissidenti. Secondo quanto riferito dall'esercito i separatisti Tamil hanno attaccato una base della fazione guidata dal colonnello Karuna situata nella giungla di Welikanda. Le Tigri Tamil accusano da tempo l'esercito di utilizzare la fazione guidata dal comandante Karuna Amman per attacchi nei loro confronti. Le autorità del Paese hanno smentito tali affermazioni. I separatisti Tamil chiedono una maggiore autonomia del Nord-Est dello Sri Lanka: resta il fatto che dall'inizio degli scontri più di 60 mila persone sono morte.

E dopo gli scontri dell'inizio di questa settimana nel nord e nell'est dello Sri Lanka, l'ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per I Rifugiati (UNHCR) nella capitale Colombo resta seriamente preoccupato per la recente fuga di migliaia di persone all'interno del distretto nord-orientale di Trincomalee. Gli attacchi aerei di martedì e mercoledì nel distretto e le ostilità nell'area di Muttur - a sud-est della città di Trincomalee - sembrano cessati, ma si stima che tra le 7mila e le 8mila persone abbiano abbandonato diversi villaggi della regione. In precedenza, il 21 aprile, circa 8.500 persone erano state costretta alla fuga da un attacco a Muttur. Il 10 aprile, altre 3mila persone erano fuggite a seguito di un attacco in un mercato di Trincomalee, nel quale sono rimaste uccise 16 persone. L'attacco ha innescato un'escalation di violenza inter-etnica, con diverse esplosioni di mine e abitazioni saccheggiate e date alle fiamme. L'UNHCR esorta il governo e il gruppo per la liberazione del Tamil Eelam (Liberation Tigers of Tamil Eelam, LTTE) a consentire al più presto l'accesso immediato alla popolazione colpita.

Analisti internazionali osservano che l'escalation di violenze in Sri Lanka è collegata all'elezione del nuovo presidente Mahinda Rajapakse in novembre e rappresenta una grave minaccia al cessate-il-fuoco stabilito nel 2002. Già nei giorni immediatamente successivi alle elezioni presidenziali, da più parti è infatti stato sottolineato come la vittoria di Mahinda Rajapakse rappresentasse un passo indietro sulla strada dell'accordo tra il Governo e il fronte dei ribelli. La presidentessa uscente, Chandrika Bandaranaike Kumaratunga, aveva infatti seguito una linea politica lontana dal nazionalismo cingalese dei suoi predecessori, favorevole alla riconciliazione nazionale e alle aperture del mercato. Rajapakse si è invece presentato alle urne alla guida di una coalizione politica che comprende al suo interno il People's Liberation Front (JVP), una formazione nazionalista cingalese di estrema sinistra, fortemente avversa ai tamil e favorevole a una soluzione definitiva della questione manu militari.

I colloqui di pace svoltisi a Ginevra alla fine di febbraio per il rinnovo dell'accordo di cessate il fuoco stipulato tra le due fazioni nel 2002 sembravano aver scongiurato il rischio della guerra civile. Nonostante ciò le violenze tra le parti non sono cessate del tutto: ma soprattutto pesa lo scetticismo degli alleati nazionalisti ed estremisti del presidente Mahinda Rajapakse, in particolare del partito marxista Jvp (Janatha Vimukthi Peramuna) e del partito di monaci buddisti Jhu (Jathika Hela Urumaya). Entrambe le formazioni ritengono illegale il CFA (Cease Fire Agreement) e si sono più volte dichiarati contrari ad ogni tentativo di accordo con le Tigri Tamil. Secondo fonti AsiaNews i loro rappresentanti avrebbero addirittura parlato della necessità di apportare alcuni emendamenti all'accordo per il cessate il fuoco, esponendosi alle critiche dei ribelli Tamil, secondo cui l'accettazione del CFA sarebbe solo un primo passo per "appianare le incompatibili divergenze e le contraddizioni inconciliabili che esistono tra la visione politica di Rajapakse e la lotto dei Tamil per l'autodeterminazione". [GB]

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