Il nuovo Afghanistan talebano

Stampa

Immagine: Atlanteguerre.it

Le tragiche immagini dell’aeroporto di Kabul, che le televisioni di tutto il mondo continuano a trasmettere in questi giorni, hanno in parte cancellato l’aspetto più politico di quanto avviene in Afghanistan. Nel Paese si è ormai installato un nuovo regime che ha liquidato, nel giro di una decina di giorni, una Repubblica che pensavamo fragile ma non al collasso, e un esercito di 300mila uomini che esisteva, evidentemente, solo sulla carta. Ma col dato politico bisognerà presto fare i conti, terminata l’emergenza delle evacuazioni e iniziata quella umanitaria, che deve farsi carico di almeno 500mila sfollati di cui oltre la metà prodottisi solo nelle ultime due settimane. Proprio a partire dall’emergenza umanitaria, e dunque dal ruolo ineludibile delle Nazioni Unite, partirà quello che non può essere che un negoziato con i Talebani o meglio col governo che si va formando in questi giorni.

Il volto “nuovo” dei Talebani: qualche vero fattore di cambiamento

Poco dopo la presa di Kabul il 15 agosto, i Talebani hanno offerto all’opinione pubblica mondiale un primo assaggio della nuova facciata che l’Emirato islamico d’Afghanistan, in versione rinnovata, intende offrire al mondo: apertura all’istruzione e al lavoro femminile, rispetto delle minoranze e della libertà di espressione, sviluppo economico, sicurezza ed eradicazione del papavero da oppio. Può trattarsi di una farsa (del resto è difficile dare fiducia a chi è riuscito a “imbrogliare” il Paese più potente del pianeta) ma può anche trattarsi di un processo di cambiamento. Tre sarebbero le componenti principali.

La prima riguarda la ricerca di un consenso interno di cui i Talebani hanno bisogno come chiunque governi (specie nei centri urbani). I cambiamenti innescati da vent’anni di occupazione militare infatti – al netto di tutti i difetti imputabili alla missione – sono stati portatori di una “contaminazione” (in tema di diritti) irreversibile, perlomeno nell’anima di moltissimi afgane e afgani.

Il secondo punto riguarda la necessità di evitare l’isolamento internazionale, come fece il vecchio Emirato di Mullah Omar negli anni Novanta. Fu anche quell’isolamento (che voleva dire non avere alcun interlocutore oltre a Pakistan, Emirati e Arabia Saudita) che portò alla guerra e alla disfatta del rozzo castello statuale creato dai Talebani prima maniera...

L'articolo di Emanuele Giordana segue su Atlanteguerre.it

Ultime su questo tema

Marcia della pace, un fiume di gente come nel 2001

13 Ottobre 2025
È statauna marcia PerugiAssisi “che non si vedeva dal 2001 quando ci fu pochi giorni dopo l’invasione dell’Afghanistan seguita all’attacco alle Torri gemelle” quella di oggi. A dirlo è Flavio Lotti...

La Francia in crisi: una potenza nucleare davanti a un'incognita

13 Ottobre 2025
Il nuovo incarico per tentare il varo di un nuovo esecutivo. (Maurizio Sacchi)

La guerra, un’emergenza sanitaria globale

08 Ottobre 2025
Le guerre del nostro secolo non si misurano più solo in battaglie e confini: sono crisi sanitarie globali che lasciano ferite fisiche, sociali e psicologiche destinate a durare per generazioni. ...

Medici, operatori umanitari e giornalisti: intervista a Elisabeth Di Luca in rotta su Gaza

07 Ottobre 2025
Lo scorso 30 settembre è partita la Conscience della Freedom Flotilla Coalition, con a bordo un centinaio tra medici, operatori umanitari, giornalisti ed equipaggio: nelle pro...

SONO SUPER!

06 Ottobre 2025
Matteo Merli è un illustratore e ha creato questa breve storia e ce l’ha mandata. Dice tutto quello che dovremmo avere già capito da tempo.

Video

Marcia della Pace Perugia-Assisi 2007