Un rito laico: leggere poesie

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Lorenzo Maragoni - Foto fornita dall'autore

Oggi vi lascio l’intervista che ho fatto all’attore umbro Lorenzo Maragoni, «il nostro» campione mondiale di Poetry Slam che il 16 maggio di quest’anno a Parigi ha vinto il titolo di miglior performer di poesia orale. 

Attore di teatro, Lorenzo Maragoni, oggi vive a Roma e, dopo aver studiato a Padova l’arte di stare sul palcoscenico, ha dapprima scelto di essere un regista pensando, come egli stesso spiega, “che fare il regista significasse creare gli allestimenti dei classici come nel Novecento e poi”, continua, “ho scoperto che non mi bastava”, dice, “avevo bisogno delle mie parole, delle nostre parole, per raccontare i nostri temi, le nostre cose”. 

Questo è stato l’iter che ha portato l’attore-autore umbro a scoprire anche il mondo della scrittura e, successivamente nel 2018, grazie a un suo caro amico nonché collega, il fenomeno del Poetry Slam.

Quando Lorenzo entra in un teatro, più che a recitare va a “performare”. Sì, perché quello che il campione mondiale di slam fa, è salire sul palcoscenico per leggere una poesia o un testo che lui stesso ha scritto.

Nel poetry slam”, chiarisce subito con sentimento l’intervistato”, sei tu, sei solo, sei il tuo mondo, sei il tuo testo, sei il tuo corpo, la tua voce e non hai difese.”

Quella di cantare la vita in versi a un pubblico di persone che, attraverso il voto, decideranno chi sarà il poeta vincitore, in qualche modo, è un’arte che invita le parti in campo ad avere il meno difese possibili.

Dalla parte di chi legge, significa spogliarsi a parole sotto una luce che, appunto, fa vedere chi sei per leggere quello che, di te, rimane più nascosto, più coperto.

Da parte del pubblico, invece, è richiesta la capacità di ascoltare e di, nel momento stesso in cui chi legge intercetta un’emozione condivisa, dare un voto; esporsi quindi con un segnale, che può essere uno schiocco di dita di approvazione o, alla fine della performance, una vera e propria votazione. 

“Io non so spiegarmi il perché la poesia performativa funziona in questo periodo e il perché questa sia in grado di attrarre un pubblico giovane”, spiega Lorenzo Maragoni ragionando a voce alta. “La maggior parte sono giovani”, continua, “che trovano nella poesia un qualcosa in cui riconoscersi”. 

“C’è”, afferma sicuro delle parole che dice, “voglia e desiderio di usare questa tipologia di linguaggio”. “Perché”, sottolinea sempre con tono deciso, “è un fenomeno popolare ma che, al tempo stesso, scende nel profondo”. 

L’unicità di questa disciplina, infatti, sta nella sua tipologia perché, come ribatte Lorenzo, “è una cosa che non si trova altrove, in quella forma lì.”

“Ma il Poetry Slam è poesia o performance?”, si chiede il nostro intervistato, e senza esitazioni, subito dopo, risponde: “io credo che nella sua forma sia prima performance e dopo poesia”, e argomenta quanto ha appena affermato: non come ordine di importanza, ma di percezione. Quello che si vede guardando il Poetry Slam sono delle persone sul palco e un pubblico che ascolta. E questa cosa”, fino a prova contraria, spiega saggiamente Lorenzo, “è teatro: è performance”.

«Il nostro» campione mondiale si interroga ancora una volta domandosi, da questo punto di vista, dunque osservando il campo dalla prospettiva del teatro, il perché il Poetry Slam proprio adesso. Egli trova una seconda risposta sostenendo che la popolarità di questo fenomeno sia dovuta al fatto che esso “abbia intercettato una frequenza, ovvero quella dell’autenticità, “sulla quale si muove il teatro di oggi, italiano e non solo”.

Questa meravigliosa parola, “autenticità”, messa in luce da Lorenzo Maragoni, “è una parola chiave nel teatro attuale, ma soprattutto”, dice, “è la parola chiave del Poetry Slam”. Perché, spiega, “la poesia performativa dà importanza alla relazione”. Fra l’attore e il pubblico, continua a delucidare Lorenzo, “c’è una relazione il meno mediata possibile”. Quello che sta accadendo, nel mondo del teatro, è che “il pubblico in modo naturale interagisce con attori smascherati” o, in altre parole, con “performer che sono se stessi, che raccontano spesso di sé, che narrano il mondo attraverso la lente della propria vita”. 

Si tratta di persone”, illustra il nostro intervistato con voce ferma ma emozionata, “che salgono sul palcoscenico senza niente”.

Avviandosi verso la conclusione, si può affermare che il Poetry Slam promuove “una semplicità caratterizzata da un microfono, un palco e un pubblico”. E questa forma di oralità è, come l’ha splendidamente definita Lorenzo, “un rito laico”, in cui un gruppo di persone si riconoscono “nella voce che officia quel rito”. E come in ogni rito, chi partecipa (in questo caso il pubblico) è chiamato a dare, a spendersi; perché “si sente visto e considerato”. 

Ebbene sì: il Poetry Slam accade adesso, in un mondo che stava per rischiare di perdere sia la poesia sia l’incontro di sguardi, quest’arte, nuda e cruda, offre una palestra di vita dove non si impara nessuna difesa, ma dove chi entra, è chiamato, diversamente, a perdere dei pezzi che gli appartengono per imparare a ritrovarli, magari cambiati, con e grazie agli altri e per mezzo dell’empatia. Una qualità questa, che non ci fa soltanto essere, ma diventare quello che, alla fine, per indole siamo: umani.

Francesca Bottari

Sono nata a Cles il 15 settembre 1984. Dopo essermi laureata in Lingue e Culture dell’Asia Orientale a Venezia, ho vissuto in Cina e in altre nazioni. In passato mi sono occupata di giornalismo e di inchieste. Oggi vivo a Bassano del Grappa, dove ogni giorno mi alleno a vivere scrivendo poesia: francescabottari.it

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