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Di nuovo in Kenya dopo 3 anni
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Il Saint Martin - Foto: di Fondazionefontana.org
Di nuovo in Kenya dopo 3 anni. Il racconto di Pierino Martinelli, direttore di Fondazione Fontana Onlus dove Saint Martin e L’Arche Kenya sono “facilitatori” non attori, di un processo che si crea “solo con la comunità”, dall’interno di essa e la rende più forte, più resiliente, più capace di affrontare i bisogni dei propri membri.
Nairobi cresce di continuo, emblema della disuguaglianza, fra grattacieli nuovi e la Nairobi Expressway, una strada sopraelevata che ti fa attraversare tutta la città in meno di mezz’ora. Se ci passi quando è buio diresti di essere in una città del Nord America. Da qui a Nyahururu sono duecento chilometri, che gradualmente ti portano nel Kenya rurale, sull’altipiano che delimita ad oriente la grande spaccatura della Rift Valley, mille metri più in basso.
Le strade asfaltate sono sempre di più, e i tempi di percorrenza diminuiscono di conseguenza, ma non diminuiscono gli squilibri di questo grande paese, in pieno fermento, una delle più vivaci economie dell’Africa che cerca di uscire dalla lista dei Lower Middle Income Countries del DAC. Ci torno dopo tre anni di assenza, a causa della pandemia, e tutto sembra come prima. Il mix di problemi e dell’enorme creatività kenyana nel cercare delle soluzioni, di situazioni che non esiteremmo a definire sub-umane e di grande solidarietà personale e comunitaria, di lavori saltuari e di grande professionalità. La grande passione con cui i nostri colleghi kenyani del Saint Martin e de L’Arche Kenya portano avanti i progetti, intessendo da 20 anni reti di relazioni comunitarie che sembrano scomparire nella quotidianità ma che vengono a galla ogni volta che nelle piccole comunità c’è un nuovo bisogno, una nuova situazione da gestire: una ragazza che subisce violenza o rischia un matrimonio precoce, una persona che soffre di un disturbo mentale che rischia di venire emarginata, un bambino con una leggera disabilità che ha bisogno di fisioterapia, un piccolo conflitto fra un pastore e un agricoltore che rischia di degenerare. In tutti questi casi la rete dei volontari capta i segnali e li trasmette, secondo uno schema ormai diffuso, frutto di anni di formazione e motivazione continua.
“Cosa possiamo fare noi, vicini di casa, per dare sollievo a questa mamma, aiutare questa famiglia?” E’ il primo passo, fondamentale di una azione corale, comunitaria, che vede il Saint Martin e L’Arche Kenya come “facilitatori” non attori, di un processo che si crea “solo con la comunità”, dall’interno di essa e la rende più forte, più resiliente, più capace di affrontare i bisogni dei propri membri. Qualche volta un intervento esterno è necessario: è il caso dell’emergenza socio-economica creata dal Covid e dalle misure di contenimento applicate anche in Kenya. Migliaia di persone, solo nella contea di Laikipia, hanno perso l’unica fonte di sostentamento, il lavoro informale. Non avendo riserve, sono sprofondati rapidamente sotto la soglia di povertà, e hanno dovuto fare i conti con la fame.
A questa fascia di popolazione si è rivolto il progetto “Azioni di emergenza per mitigare gli effetti del Covid 19 nella Contea di Laikipia”, finanziato grazie al contributo della Provincia Autonoma di Trento. Beni di prima necessità come cibo, medicine, assorbenti igienici, ma accompagnati da azioni di sistema, come l’iscrizione al sistema sanitario nazionale per trarre vantaggio da un primo esempio di welfare statale e il pagamento delle tasse scolastiche, che permette ai bambini (e ancor più alle bambine) di continuare il percorso scolastico e di avere almeno un pasto al giorno. E poi formazione, ancora formazione. Perché bisogna si uscire dall’emergenza, ma bisogna anche imparare a non caderci dentro un’altra volta. Attraverso percorsi formativi individuali che permettono alle donne, quasi sempre responsabili del sostentamento della famiglia, di imparare a gestire meglio le poche risorse, di far ripartire un piccolo commercio o di coltivare con maggior profitto un campo, fornendo interventi di “startup”, come una piccola somma per avviare un chiosco di frutta, una pecora, una capra o dei polli per avere qualcosa da mangiare o da vendere, semi e fertilizzanti per avere un miglior raccolto.
Daremo conto con maggiore dettaglio di questo progetto ancora in corso quando sarà terminato, ma intanto possiamo dire di aver verificato “sul campo” la sua efficacia, visitando alcuni beneficiari ed ascoltando il sollievo per lo scampato pericolo ma anche la preoccupazione per la nuova emergenza che, purtroppo, si sta affacciando: la siccità persistente, evidenza drammatica degli effetti del cambiamento climatico, che si combina con gli effetti della speculazione sul cibo, scatenati dalla guerra in Ucraina, e sta letteralmente affamando vaste aree del Nord Est del Kenya. Con i prezzi della farina e dell’olio raddoppiati in pochi mesi, sembra che tutto torni alla casella di partenza, in un drammatico gioco dell’oca. Ci sarà bisogno di intervenire, certo, per evitare che come sempre paghino i più deboli, ma potremo contare su una comunità un po’ più forte, più capace di prendersi in mano, di affrontare la situazione, per quanto difficile.