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Ucraina: guerra e diritti sul lavoro
Riconciliazione
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Fot: Marjan Blan da Unsplash.com
Sebbene Kryvyj Rih resti spesso a margine delle cronache e dei racconti sulla guerra in Ucraina, la città dell’oblast di Dnipro (situata circa 400 chilometri a sud-est della capitale e poco più di 200 chilometri a nord di Kherson) può essere considerata per certi versi uno dei centri del paese. Non solo per la sua posizione, appunto, “mediana” fra est e ovest, nel cuore della pianura che si sviluppa attorno al Dnepr, ma anche e soprattutto – dal punto di vista simbolico – perché ha dato i natali al presidente Volodymyr Zelens'kyj, il 25 gennaio di quarantacinque anni fa. Nelle prime settimane dell’aggressione, l’avanzata dell’esercito russo si è arrestata non distante da qui (occupando la centrale nucleare di Zaporižžja e la città di Kherson, ora liberata).
La difesa della città e Oleksander Vilkul
Il 10 marzo, missili si sono abbattuti sull’aeroporto internazionale della città: secondo l’attuale sindaco de facto e capo dell’amministrazione militare di Kryvyj Rih Oleksander Vilkul, le intenzioni delle truppe di Putin erano quelle di utilizzare lo scalo aereo – il più grande della regione – come base per poi invadere tutto il sud dell’Ucraina.
“Gli aerei russi erano vicini ma non sono riusciti ad atterrare”, ha raccontato al “The New Statemen”, spiegando come avesse predisposto la difesa della zona. La storia stessa di Vilkul è insieme rocambolesca ed emblematica, se pensiamo ai cambiamenti politici che sta attraversando l’Ucraina negli ultimi tempi e che sono stati fortemente accelerati dall’invasione dello scorso 24 febbraio: già membro del governo durante la seconda presidenza di Yanukovych, è sempre stato considerato di orientamento “filo-russo” tant’è che, in seguito alla sollevazione di Euromaidan e alla conseguente fuga di Yanukovych, ha continuato a svolgere la propria attività con la forza elettorale che si era creata in seguito al disgregamento del Partito delle Regioni, il Blocco di Opposizione (ora messo fuori legge).
Nel 2018, in vista delle elezioni che avrebbero poi consacrato Zelens'kyj come presidente del paese, ci fu però un primo strappo: il Blocco di Opposizione si divise in due fazioni distinte che – commentava al tempo l’analista Kostantin Skorkin – “facevano riferimento” l’una a Rinat Akhmetov, potente imprenditore che fra le altre cose possedeva le acciaierie Azovstal di Mariupol, e l’altra a Viktor Medvedčuk, oligarca vicino alle forze separatiste del Donbass e per questo messo sotto processo e posto agli arresti domiciliari nel 2021, arrestato nuovamente dopo lo scoppio dell’attuale conflitto e infine consegnato alle autorità di Mosca nell’ambito di uno scambio di prigionieri lo scorso settembre.
Vilkul divenne il rappresentante della prima fazione: “Medvedčuk è venuto da noi politici dell’Ucraina meridionale e orientali dicendoci che avremmo dovuto concordare le nostre azioni e le nostre politiche col Cremlino”, ha continuato a raccontare il capo dell’amministrazione militare di Kryvyj Rih al “The New Statesman”, spiegando come il suo atteggiamento verso la Russia sia gradualmente cambiato da quel momento. “Gli ho detto che non l’avrei fatto. Così, Medvedčuk ha chiamato Mosca e il giorno dopo sono stato posto sotto sanzioni dal governo russo”. A rendere il tutto ancora più tortuoso, però, è anche il fatto che al momento del 24 febbraio Vilkul non aveva alcun ruolo politico a Kryvyj Rih: come ricostruisce questo reportage di “Opendemocracy”, infatti, la sua nomina a direttore delle operazioni militari dell’area è dovuta alla determinazione che ha mostrato nelle prime ore dell’invasione e all’autorità che, assieme al padre Yuri, può esercitare nell’area grazie alla sua precedente esperienza nell’amministrazione di una miniera di ferro a nord della città, sotto il controllo della multinazionale Metinvest (il cui proprietario è, appunto, il già citato Rinat Akhmetov).
Città industriale
Un altro dei motivi per cui Kryvyj Rih può essere considerata uno dei centri nevralgici dell’Ucraina è la sua produzione industriale. L’acciaieria che vi ha sede, di proprietà ArcelorMittal, è la più grande del paese e, fino allo scoppio della guerra, era responsabile del 20% della produzione di acciaio sul territorio nazionale dando lavoro a oltre 22mila persone (nel 2019, inoltre, l’Ucraina è stata la settima più grande produttrice di minerale di ferro del mondo).
In città, sono registrati oltre 50 stabilimenti e fabbriche per una popolazione che si attesta attorno ai 600mila abitanti. Una caratteristica che, soprattutto negli ultimi anni, la ha resa teatro di importanti scioperi, proteste e rivendicazioni di natura lavorativa: già nel 2014 per esempio, nel convulso contesto successivo alla sollevazione di Euromaidan e dell’annessione russa alla Crimea, si svolsero alcune mobilitazioni che vennero lette prevalentemente come “patriottiche” ma che erano comunque animate dalla componente sindacale (da notare come in seguito alla crisi di quell’anno, il valore della valuta nazionale era diminuito di ben tre volte, portando di fatto a un crollo del salario medio reale: ad ArcelorMittal, si è passati dalle 5808 hryvnia [534 euro] del 2013 alle 10278 hryvnia [306 euro] di quattro anni dopo); a maggio del 2017, un’ondata di proteste coinvolse i principali stabilimenti cittadini, con i dipendenti delle fabbriche che riuscirono a fermare la produzione, organizzare incontri e iniziative pubbliche e anche occupare dei palazzi istituzionali e riuscendo infine a strappare un accordo per il graduale aumento dei salari; infine, nel 2020, uno sciopero iniziato il 3 settembre da una dozzina di persone impiegate presso la miniera Oktiabrska, che vide nel suo momento di massima partecipazione oltre 400 manifestanti rimanere sottoterra a una profondità di 1,3 chilometri e il blocco totale della produzione.
Con lo scoppio della guerra la situazione è ovviamente mutata. Molte persone sono fuggite, altre sono andate al fronte (pare attorno ai 2mila dipendenti di ArcelorMittal). Altre ancora si sono rifugiate a Kryvyj Rih scappando dalle regioni occupate o dove si combatte: secondo le stime dell’amministrazione comunale, al momento dovrebbero esserci almeno 60mila sfollati interni, di cui circa 20mila provenienti dal Donbass e altri 40mila che sono arrivati dalla zona di Kherson, città ora ritornata sotto il controllo ucraino ma costantemente sotto il fuoco di artiglieria russo (proprio qualche giorno fa, il 27 gennaio, due donne sono rimaste uccise e cinque civili feriti)...