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Tutti per uno, uno per tutti
Riconciliazione
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Poco più di un mese fa, il 6 Febbraio 2017, il parlamento israeliano ha votato una legge che regolarizza retroattivamente 4000 strutture costruite su territori privati palestinesi. Strutture che – oltre ad essere illegali per il diritto internazionale- erano considerate tali anche dalla stessa legge israeliana. Sembra dunque che il cosiddetto “processo di pace” in corso dagli Accordi di Oslo del 1993 in poi, stia più del solito scontrandosi con una realtà infelice: non c’è nessuna intenzione di sospendere la colonizzazione della Cisgiordania da parte di Israele, per di più ora che, dopo l’uscita di scena di Barack Obama, può contare sulla legittimazione politica dell’amministrazione Trump. I coloni reclamano un vero e proprio diritto ad insediarsi in Cisgiordania.
Cosa sono gli insediamenti?
Si tratta di comunità di civili israeliani costruite all’interno della Cisgiordania, su territori considerati palestinesi dalla comunità internazionale secondo i confini tracciati nel 1967. Ad oggi, ci vivono più di 300 mila persone. Gli insediamenti si trovano nell’ Area C della Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nei territori siriani occupati del Golan. Il più grosso insediamento, o colonia, è Ariel: è abitato da circa 16 700 persone e ospita un’università con 8 500 studenti.
Lo scorso 23 Dicembre, il Consiglio di Sicurezza Onu con la Risoluzione No. 2334, ha riaffermato lo status di territori occupati per Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est e dichiarato illegali le colonie israeliane che sorgono qui, come già affermava nel 2004 un parere della Corte Internazionale di Giustizia. Questa risoluzione potrebbe conferire ai palestinesi il diritto di appellarsi alla Corte Penale Internazionale per le questioni degli insediamenti, le espropriazioni dei loro terreni e la demolizione di case. Sorprendentemente, l’amministrazione Obama non ha esercitato il proprio diritto di veto: per la seconda volta nella storia, gli Usa si sono astenuti rispetto ad una risoluzione riguardante la questione israelo-palestinese. La prima astensione Usa che si ricordi risale all'amministrazione Bush nel 2009, quando non posero il veto su un testo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.
Quanto influisce la nuova presidenza americana?
Nonostante la scelta di Obama di non porre il veto alla Risoluzione, Hanan Ashrawi, intervistata da Nena News, ha definito Barack Obama “un presidente molto generoso con Israele, forse il più generoso dal punto di vista politico, finanziario e militare”. La Ashrawi è membro del Comitato esecutivo dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e storica portavoce palestinese durante la prima Intifada.
Dopo l’elezione di Donald Trump, il nuovo ambasciatore Usa a Tel Aviv è David Friedman, aperto sostenitore delle colonie israeliane. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, Trump ha minacciato i palestinesi: se denunceranno Israele alla procura internazionale perderanno il sostegno finanziario degli Usa e l’OLP tornerà nell’elenco delle organizzazioni terroristiche.
Secondo il New York Times, nell’incontro del 15 Febbraio tra il presidente israeliano Netanyahu e Trump, per la prima volta dall’inizio del processo di pace un presidente americano ha pubblicamente allontanato l’idea che la soluzione dei due stati sia l’unica strada praticabile. Il leader israeliano non ha parlato di negoziati, dicendo che è necessario per i palestinesi riconoscere Israele come uno stato ebraico, “che controllerà la sicurezza fino al fiume Giordano”.
“Dal mare al fiume”
La soluzione di uno stato unico “dal mare al fiume” per israeliani e palestinesi, tanto nefasta all’apparenza per l’autodeterminazione del popolo palestinese, è in realtà osteggiata anche dal capo dell’intelligence israeliana Yuval Diskin. Uno stato unico per palestinesi e israeliani avrebbe un’anomalia: una grande maggioranza demografica araba. E’ un appunto più volte evidenziato da Noam Chomsky, e ripetuto nel suo ultimo libro Who Rules the World? (2016).
Daoud Kuttab, giornalista palestinese, afferma che il binomio Trump-Netanyahu richiederà di “rispiegare l’ABC del peace-making”, per fornire al nuovo residente della Casa Bianca l’educazione basilare sui requisiti per la pace in Medio Oriente. Ad esempio, “se la soluzione a due stati non è possibile, allora quella ad uno stato richiede che tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti, indipendentemente dalla loro religione” (affermazione prontamente copiata e riutilizzata dai sostenitori della legittimità delle colonie, come si spiegherà meglio tra poco). In ogni caso, l’estrema schizofrenia di opinioni del nuovo Presidente americano non aiuta.
Il diritto di occupare
I residenti ebrei di Giudea e Samaria ripetono spesso che il loro diritto a vivere qui trova conferma nella scritture sacre. Si pone così il quesito: questo diritto può essere discusso in termini di diritti umani? Neve Gordon e Nicola Perugini ne parlano nel loro libro The Human Right to Dominate, che prende le fila dalla recente nascita di molte ONG israeliane a difesa dei diritti umani dei coloni. “Queste organizzazioni usano il linguaggio e le strategie delle tradizionali NGO per i diritti umani”, spiegano gli autori. “Per esempio, mostriamo come le petizioni di organizzazioni pro-palestinesi vengono copiate di sana pianta; si sostituisce la parola “insediamento ebraico” al posto di “insediamento palestinese”, sostenendo di essere vittime di espropriazioni ingiuste”.
Nella logica di queste organizzazioni, accettare gli insediamenti israeliani sul proprio territorio sarebbe una dimostrazione che un’eventuale stato indipendente di Palestina sarebbe un vicino di casa pacifico, tollerante verso una società multi-religiosa e multietnica. Così, chiedono al Presidente palestinese Abbas di essere un nuovo Nelson Mandela, capace di ristabilire la tolleranza nei confronti dei bianchi in un paese di non bianchi.
Sofia Verza

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Trento, ha studiato ad Istanbul presso le Università Bilgi e Yeditepe, specializzandosi nel campo del diritto penale e dell'informazione. Ad Istanbul, ha lavorato per la fondazione IKV (Economic Development Foundation), ricercando nel campo della libertà di espressione. E' stata vice presidente dell'associazione MAIA Onlus di Trento, occupandosi di sensibilizzazione sulla questione israelo-palestinese e cooperazione culturale in Cisgiordania. Scrive per il Global Freedom of Expression Centre della Columbia University e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso.