Qual era il giorno?

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Qual era il giorno?

Aspetta… il 18 settembre del 1938. L’uomo con la camicia nera, anzi chiamiamolo: l’Uomo Nero, salì sul palco. Era a Trieste, in una piazza bellissima, piazza Unità d’Italia. Era davanti al Municipio. Salì sul palco – se ho buona memoria – e cominciò a parlare. Disse che “L’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del Fascismo”. Poi, aggiunse che “poiché la storia ci insegna che gli imperi si conquistano con le armi ma si tengono con il prestigio, occorre una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze ma delle superiorità nettissime”.

La gente sotto il palco - se la memoria non m’inganna - applaudiva e osannava l’Uomo Nero, che spiegò che presto sarebbero stati presi provvedimenti precisi contro gli ebrei. Arrivarono in novembre, con le leggi razziali che un piccolo Re, alto in modo inverso rispetto alla propria criminale ambizione, firmò senza batter ciglio. I provvedimenti - vado a memoria - arrivarono con quelle leggi, leggi che non scatenarono alcuna reazione, alcuna rivolta, poca indignazione. Gli italiani, in camicia nera o almeno molto scura, in fondo se ne fregavano di quello che poteva capitare a qualche centinaio di migliaia di loro concittadini.

Sì perché - e qui è bene averne memoria - gli ebrei, quelli che in quel 1938 venivano definitivamente discriminati e che solo quattro cinque anni dopo sarebbero stato offerti come carne da forno ai macellai nazisti, erano cittadini italiani. A tutti gli effetti. Molti – sfogliando l’album della memoria - avevano combattuto nelle guerre risorgimentali, altri erano morti nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. Avevano conquistato medaglie, si erano fatti onore. Pensate – e qui c’è la beffa – molti erano anche convintamente fascisti, avevano sostenuto, con soldi e mezzi, l’ascesa al potere dell’Uomo Nero nel 1922.

Gli ebrei italiani la loro data di morte hanno cominciata a intuirla quel 18 settembre 1938. L’hanno letta nell’indifferenza del resto degli italiani. L’hanno capita nelle esclusioni successive, progressive e totali dalla normale vita quotidiana: niente scuola, niente lavoro, niente diritti. L’hanno conosciuta nelle italianissime Camicie nere che rastrellavano donne, anziani, bambini e li caricavano sui camion del “kameraden”.

La Giornata della Memoria – quella di oggi – sarebbe celebrata degnamente, finalmente, decidendo che il 18 settembre per gli italiani è la Giornata della Vergogna. La vergogna di non aver difeso altri cittadini. La vergogna di non aver voluto capire che l’Uomo Nero era un assassino. La vergogna di avere applaudito, approvato, ignorato. 

Ricordare Aushwitz, Treblinka, Mauthausen è comodo. Ci fa sentire bene. Ci permette di dire: non siamo stati noi. Non è memoria: è ipocrisia. 18 settembre, ogni anno, Giornata della Vergogna Nazionale. Solo allora potremo onorare la Memoria dei troppi fratelli morti innocenti nella Shoah.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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