www.unimondo.org/Guide/Guerra-e-Pace/Riconciliazione/Politiche-migratorie-UE-come-i-rimpatri-volontari-mascherano-le-espulsioni-265850
Politiche migratorie UE: come i rimpatri volontari mascherano le espulsioni
Riconciliazione
Stampa

Foto: Unsplash.com
Mascherare le espulsioni per renderle accettabili agli occhi dell’opinione pubblica. Ecco come i Paesi europei, sostenuti dalle politiche UE, utilizzano uno strumento giuridico in modo distorto per mascherare la violazione dei diritti umani. Ne abbiamo parlato con Adelaide Massimi del progetto Sciabaca & Oruka di ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione).
MD: Di che cosa si occupano ASGI e, in particolare, il progetto Sciabaca & Oruka?
AD: ASGI è un'associazione fondata nel 1990, composta da soci e socie, generalmente con un background giuridico (avvocati, giuristi, docenti universitari…), specializzati in diritto dell'immigrazione. Si tratta di una rete di persone che lavorano a titolo volontario, che si confrontano ed elaborano strategie giuridiche di difesa dei diritti delle persone migranti.
Nell'ambito del nostro lavoro ci siamo resi conto che alcune questioni venivano intercettate solo parzialmente dal lavoro quotidiano dei nostri associati e associate. Questo perché, di fatto le politiche di blocco e di chiusura delle frontiere non consentono alle persone migranti di arrivare in Italia e di entrare in contatto con gli avvocati e la società civile.
Ecco perché sono stati pensati tre progetti, ciascuno con un focus specifico:
- Sciabaca & Oruka si occupa di politiche di esternalizzazione, quindi degli effetti delle politiche italiane in Paesi terzi e della delega del controllo delle frontiere.
- Inlimine si occupa di approccio hotspot e procedure di frontiera, quindi di ciò che succede quando le persone arrivano alle frontiere esterne dell'Italia, ma lì vengono bloccate.
- Medea è il progetto che più si occupa della rotta balcanica e delle frontiere interne all’area Schengen, che nel corso degli ultimi 10 anni sono state, di fatto, progressivamente chiuse e quindi in uno stato di eccezione permanente rispetto alla regola della libera circolazione.
Sciabaca & Oruka si occupa di tutte quelle politiche attuate attraverso accordi, stanziamenti economici e intese bilaterali che hanno l'obiettivo di mantenere le persone fuori dai confini italiani ed europei.
I blocchi avvengono attraverso il rafforzamento dei meccanismi di controllo delle frontiere di Paesi terzi, considerati di transito e la ricanalizzazione della mobilità lontano dalle frontiere europee.
Nel corso del tempo ci siamo concentrati soprattutto sui Paesi più prossimi, Libia e Tunisia, con cui l’Italia ha politiche di collaborazione stabili e intense. Ma il progetto si occupa anche di altri Paesi, come il Niger, la Nigeria e altri Paesi dell’Africa occidentale, ovvero Paesi considerati di transito e/o di partenza delle migrazioni e con cui l’Italia e l’Unione europea hanno rapporti di cooperazione intensa nella gestione delle migrazioni, che spesso si concretizzano in accordi di rimpatrio.
MD: Che cosa sono i rimpatri volontari assistiti e cosa motiva la campagna “Voluntary Humanitarian Refusal”?
AM: Un rimpatrio umanitario volontario è un tipo di ritorno nel Paese d'origine, o di abituale residenza, caratterizzato dalla volontarietà.
Poniamo che una persona migrante decida di tornare nel proprio Paese d'origine e abbia bisogno di assistenza per realizzare questo desiderio. L’assistenza può riguardare la documentazione per il viaggio, oppure un programma che lo aiuti a reinserirsi nel contesto d’origine.
Nel corso degli anni, lo strumento del rimpatrio volontario è stato utilizzato in maniera crescente all'interno e all'esterno dell'UE, ma come strumento di controllo della mobilità. Ed è anche stato promosso in questo modo, perché il rimpatrio volontario non richiede, per essere implementato, accordi bilaterali con i Paesi d’origine.
Proprio gli accordi bilaterali sono il vulnus rispetto ai programmi di rimpatrio forzato dell’UE. Infatti, a causa della mancanza di accordi fra gli Stati, non si riesce a rimpatriare un numero consistente di persone e le procedure sono estremamente macchinose.
Ecco perché i rimpatri volontari vengono usati in maniera crescente dai Paesi di destinazione, anche dai CPR, incluso quello in Albania, dove l’aspetto della volontarietà è quantomeno dubbio.
Il rimpatrio volontario è utilizzato moltissimo anche nei Paesi di transito, come Libia e Tunisia, dove sono implementati in modo praticamente esclusivo dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM).
Qual è la questione giuridica allora?
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), così come lo Special Rapporteur sui diritti dei migranti delle Nazioni Unite, dicono che i rimpatri, per essere considerati volontari, debbono avere tre caratteristiche:
- Deve sussistere il consenso da parte della persona migrante, cioè il rimpatrio dev’essere scelto in maniera libera e informata.
- La persona migrante non deve essere sottoposta a coercizione di alcun tipo, né fisica, né psicologica.
- Devono esserci per la persona migrante valide alternative al ritorno nel Paese d’origine. Per valida alternativa si intende la possibilità di ottenere protezione, di regolarizzarsi o di accedere a canali di migrazione regolare.
Invece, non a caso, i criteri che definiscono come volontario un rimpatrio nella definizione dell’OIM sono solo i primi due.
Dai dati che l’OIM invia al Ministero degli Affari Esteri sull’implementazione dei rimpatri volontari assistiti dalla Libia e dalla Tunisia, operati attraverso fondi italiani, si evince che un numero consistente di rimpatri volontari sono operati dai centri di detenzione della Libia e che le persone rimpatriate includono minori, persone sottoposte a tratta o che presentano vulnerabilità mediche.
Se una persona è in carcere per un tempo indefinito in Libia e viene sottoposta quotidianamente ad abusi, torture e trattamenti inumani e degradanti e magari è anche vittima di tratta, in che modo si può pensare che quella volontà sia libera e non sia viziata da coercizione fisica e psicologica?
Libia e Tunisia sono notoriamente Paesi in cui le persone, soprattutto donne, passano attraverso i sistemi di tratta.
Nonostante le nostre reiterate richieste, il Ministro degli Esteri non ha mai chiesto all’OIM di fornire garanzie ulteriori.
Nel momento in cui il rimpatrio rappresenta il modo per sottrarsi a un abuso immediato e quotidiano, può essere considerato volontario?
Spesso, attraverso questi rimpatri, le persone si sottraggono a una situazione di gravi violazioni - come quelle subite in un centro di detenzione libico - per finire in situazioni ugualmente insostenibili ma più distanti dalle frontiere europee. Tante persone sono state rimpatriate in Paesi in cui ci sono situazioni di conflitto, oppure dove vengono sottoposte a tratta, come nel caso delle donne e dei minori nigeriani.
Nel corso degli anni, abbiamo fatto un lavoro di inquadramento giuridico, grazie anche al contributo di tantissime persone che, a livello internazionale, studiano l'operato dell’OIM.
Proprio a proposito dell'utilizzo e dell'abuso dello strumento di rimpatrio volontario assistito abbiamo collaborato con la Clinica Legale di Roma Tre in International Protection of Human Rights, coordinata dalla professoressa Alice Riccardi.
Grazie a queste collaborazioni, abbiamo inquadrato giuridicamente i rimpatri cosiddetti volontari come espulsioni mascherate, vietate dal diritto internazionale.
Un'espulsione mascherata avviene quando si hanno una serie di azioni od omissioni riconducibili ad uno Stato, che hanno l'effetto di costringere forzatamente una persona al ritorno al Paese d'origine, in assenza di tutte le garanzie necessarie ad eseguire legittimamente l'espulsione.
Ciò avviene in violazione del principio di non refoulement, che vieta il respingimento in un Paese dove una persona può essere a rischio di subire persecuzioni, tortura e altre gravi violazioni dei diritti umani.
Nel corso degli anni, abbiamo presentato una comunicazione individuale al Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) per conto di una donna che era vittima di tratta, rimpatriata dalla Libia verso la Nigeria. Ad oggi, siamo ancora in attesa di esito, nonostante sia trascorso un bel po’ di tempo.
Inoltre, abbiamo impugnato alcuni finanziamenti del Ministero degli Esteri per programmi di rimpatrio volontario dalla Libia e dalla Tunisia al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.
L'esito di alcuni non è ancora certo, ma di base i nostri ricorsi sono stati rigettati.
MD: Anche un approccio umanitario può rafforzare e legittimare le politiche di esternalizzazione. Perché?
AD: Ci siamo resi conto che c'è una conoscenza troppo blanda degli effetti dei rimpatri volontari, anche da parte della società civile organizzata che si occupa di questi temi.
Questo perché i rimpatri volontari sono spesso presentati come una misura umanitaria, utilizzata per mettere al sicuro persone che altrimenti si trovano in una situazione di grave vulnerabilità.
Questo è vero, ma è altrettanto vero che il rimpatrio volontario non può essere la risposta dal momento che riporta le persone migranti in Paesi da cui sono fuggiti.
Ciò vale in particolare per le persone discriminate in base al genere, che subiscono una serie di discriminazioni e di marginalizzazioni sistemiche. Per queste persone, la migrazione è uno strumento di autodeterminazione, che può portare a cambiamenti sociali duraturi.
Se queste persone vengono riportate in situazioni insostenibili, per di più aggravate dallo stigma della migrazione e a volte della tratta, vengono ulteriormente esposte a violenze e discriminazioni.
Una delle prime cause che il progetto Sciabaca & Oruka ha avviato di fronte al TAR del Lazio è stata contro l’impiego di 2,5 milioni di euro del “Fondo Africa” (oggi “Fondo Migrazioni”) per il sostegno operativo delle autorità costiere libiche, tra cui la rimessa in efficienza di quattro motovedette.
La decisione del Consiglio di Stato è stata di valutare legittimo l’impiego di 2,5 milioni di euro, con il trasferimento delle motovedette, in ragione dell’impegno umanitario di OIM e UNHCR in Libia, agenzie ONU finanziate dall'Italia, il cui operato avrebbe contribuito al miglioramento delle condizioni di detenzione e di fuoriuscita dal territorio libico di rifugiati e migranti.
Eppure sappiamo benissimo che, nonostante tutte le buone intenzioni, la protezione fornita in questo Paese non è in nessun modo efficace. Mentre l’emigrazione dalla Libia sarebbe una forma di protezione molto più efficace.
Con la nostra campagna “Voluntary Humanitarian Refusal” chiediamo:
- La cessazione di questo tipo di finanziamenti, che, mascherati da aiuti, legittimano le politiche di blocco.
- La cessazione delle politiche di blocco e gli accordi che sono finalizzati alla deterrenza della mobilità.
- L'attivazione di politiche di protezione effettiva, che consentano la mobilità delle persone migranti.
MD: Qual è la direzione che ha imboccato l’Unione Europea attraverso il Patto sulla Migrazione e l’Asilo?
AM: Il patto UE di fatto rafforza una sempre maggiore esternalizzazione e le politiche di rimpatrio.
Anche se non ci sono regolamenti specifici, le politiche di esternalizzazione vengono favorite e si forniscono gli strumenti “contenitore” di incontro e di dialogo con i Paesi terzi. Come nel caso dei cosiddetti “return hubs” immaginati dalla Commissione a marzo.
L’Italia è uno degli apripista sia con i centri in Albania, che con le politiche di cooperazione con Tunisia e Libia.
Azioni che si inseriscono in un solco chiaramente tracciato dalla Commissione europea.
Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.