La tragedia sconosciuta delle donne native canadesi

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Immagine: Sebastiaan Stam da Unsplash.com

C’è una tragedia davvero poco conosciuta quando si parla di violenza sulle donne – e se ne parla comunque sempre troppo poco-che è quella che è diventato negli ultimi anni il più drammatico e grave scandalo dell’intera storia e probabilmente dell’intero Canada: le migliaia di donne native scomparse nel nulla e spesso, poi, trovate, barbaramente uccise dopo probabili stupri. Si tratta di una ferita dolorosa e  per questo in parte ancora rimossa per il civile a sviluppato Paese del Nord America, uno degli stati con la più alta qualità di vita del pianeta, preso ad esempio per essere un modello per esempio di integrazione multietnica e interculturale.

In questo mese di novembre che vedrà il 25 cadere la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne ricordiamo la pubblicazione, nel giugno 2019, di un impressionante, spaventoso e documentatissimo Report su queste sparizioni e assassini di donne avvenute negli ultimi decenni composto di  migliaia di pagine e voluto sotto le pressioni di molte associazioni e denunce di gruppi nativi o "native canadians"’ al primo ministro canadese Justin Trudeau. La commissione di inchiesta ha lavorato due anni per produrre questo documento ricco di testimonianze, dati e prove. Una delle conclusioni relative al Rapporto è un appello a tutta la popolazione canadese perché sia presente solidale e partecipe, perché questo femminicidio coperto  spesso dall’omertà o dalla comoda voglia di non sapere abbia finalmente e definitivamente termine.

C’è un clima ancora molto teso tra le comunità di nativi e le istituzioni pubbliche e, molto spesso, tra i nativi o indiani canadesi e il resto della popolazione specie quella bianca, che siano nord americani o europei poco importa. Gli accadimenti terribili e devastanti che si sono verificate in questi anni e decenni in Canada (come, peraltro, nei confinanti Stati Uniti), e che continuano ad accadere a migliaia di famiglia di nativi con figlie – e spesso si tratta di ragazze o ragazzine - sorelle e madri hanno causato ferite e dolori eterni e una rabbia molto profonda per la mancata giustizia che quasi sempre si è manifestata riguardo queste sparizioni o questi omicidi. Indagini frettolose, superficiali; parzialità a sfondo razzista, coperture o indifferenza a livello delle varie istituzioni nazionali o locali; probabili complicità in alcun casi delle stessa polizia nel merito delle stesse investigazioni considerate quasi di serie B proprio per elementi di razzismo; ma rabbia anche per l’impossibilità di risalire ai colpevoli, ai rapitori ed assassini, e per non avere mai più notizie delle proprie congiunte, dissoltesi nel nulla, “missing’’ come vengono chiamate da un giorno all’altro.

Una tragedia rimasta senza giustizia e quasi sempre senza voce di cui ha parlato anche il film documentario shock dal titolo emblematico ‘’River of silence’’  (“Fiume dI silenzio’’).

Le parole di accusa della commissione sono pesantissime: «Le violenze su queste donne trovano ragione nella inazione dello Stato e nel colonialismo con le relative ideologie connesse, basate su una presunta superiorità». Non si conosce il numero esatto delle donne scomparse o uccise, né, probabilmente, lo si conoscerà mai (poiché tanti famigliari, per paura di ulteriori violenze  di stampo vendicativo, non hanno parlato o detto nulla anche perché a conoscenza del fatto che le indagini non sarebbero state condotte con reale zelo). Si ritiene che questo numero, al ribasso, sia di quattro mila donne native americane scomparse o uccise

Terribile ed emblematico ciò che accadde alla studentessa sedicenne nativa Rinelle Harper, la cui drammatica testimonianza tuttavia ha fatto crollare un muro decennale di omertà e si è imposta all’opinione pubblica. Ripescata nuda e in fin di vita tra i fiumi Assiniboine e Red River. La ragazzina era stata ripetutamente stuprata da due uomini suprematisti bianchi e poi gettata nel fiume. Riuscita a tornare a riva, l’adolescente venne barbaramente aggredita di nuovo, fin quando, perduti i sensi, fu ritenuta morta dai suoi assalitori che la abbandonarono alla corrente del fiume. Ripresasi, riuscì poi a raccontare e a testimoniare quanto le era drammaticamente accaduto.

Il commissario capo della Commissione che ha firmato il rapporto governativo, la giudice Marion Buller, giurista delle First Nations, del British Columbia, in Canada  ha sintetizzato così un aspetto della situazione: «la dura realtà è che noi viviamo in un Paese in cui le leggi e le istituzioni perpetuano le violazioni dei diritti fondamentali che hanno portato a questo orrendo genocidio di donne, di tantissime ragazzine».

Di Umberto Rondi

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