India: contano di più le mucche o le minoranze?

Stampa

Viaggiando sulle strade del Rajasthan non è raro imbattersi nelle mucche: solitarie o in gruppo, al centro o a bordo strada, in contromano o in attraversamento camminano tranquille incuranti del traffico caotico e strombazzante che le circonda e le scansa con attenzione e rispetto. Le mucche, si sa, in India sono sacre: la loro sacralità deriva dal fatto di essere animali mansueti e pacifici, capaci di produrre un alimento prezioso come il latte, di fertilizzare la terra, di aiutare nel lavoro dei campi.  La loro presenza porta ricchezza e benessere. Krishna è il dio con cui vengono rappresentate, di cui sono compagne fedeli.

Eppure in questi mesi le mucche in India sono al centro di un grande dibattito, protagoniste inconsapevoli di una diatriba che ha spesso assunto toni infuocati, e non solo toni.

La storia non è nuova e per capirla bisogna risalire al 1800 quando, nelle regioni settentrionali dell'India, si diffuse il Cow Protection Movement. Obiettivo dichiarato del movimento era prendersi cura delle mucche, proteggerne la sacralità, favorirne il benessere e così facendo unificare la società hindu intorno ad un comune valore. Ma proprio quest'ultimo intento si accompagnò presto alla volontà di creare un confine chiaro e visibile tra gli Hindu e "gli altri" - come ben descrive Neera Chandhoke già Professoressa di Scienze Politiche all'Università di Delhi - dove "gli altri" in quel momento erano i musulmani. La pretesa di proteggere le mucche sfociò allora in un clima di odio crescente degli hindu nei confronti dei musulmani, accusati di sacrificare le mucche e cibarsi della loro carne, cosa che in India avveniva e tuttora avviene nel corso della Festa del Sacrificio. Le comunità si divisero e il malcontento nei confronti del nemico così individuato portò ad un clima di violenza: la sacralità della mucca si trasformò in uno dei pretesti di frattura e separazione all'interno della società indiana.

Da allora il Cow Protection Movement ha continuato ad operare nel paese e ai così detti "cow protectors" (protettori delle mucche) viene oggi ufficialmente riconosciuto un ruolo di collaborazione con le forze dell'ordine: devono controllare che le mucche possano accedere alle stalle che le municipalità mettono a loro disposizione, segnalare casi di traffico illegale e di macellazione non autorizzata.

Negli ultimi mesi, però,sembra che la storia si stia ripetendo. Dall’inizio dell’estate non passa giorno, infatti, senza che i giornali indiani riportino fatti di  violazioni e violenze legati ad una pretesa protezione del sacro animale. L'11 luglio  l'episodio scatenante: a Una, nello stato del Gujarat, un gruppo di cow protectors, poi definiti "vigilantes" per meglio distinguerli dai "protectors" legali, non solo si è arrogato il diritto di intervenire con la violenza per punire quattro persone accusate di scuoiare una mucca, ma ha anche diffuso le immagini del pestaggio perpetrato con inaudita ferocia. Immediato l'effetto della pubblicazione del video: il tema ha inevitabilmente assunto un posto centrale nei mezzi di informazione ed ha aperto un dibattito acceso e ineludibile. I fatti di Una hanno portato agli onori della cronaca una situazione in realtà diffusa, radicata, conosciuta: vittime del pestaggio, infatti, sono quattro persone appartenenti alla casta dei Dalit, gli oppressi, che, nel tradizionale ma non più legale sistema delle caste indiane, stanno all'ultimo posto. Dall'11 luglio ad oggi le segnalazioni di episodi di violenza nei loro confronti si sono moltiplicate in tutti gli stati dell'India: il pretesto è sempre e ancora proteggere le mucche, l'accusa è quella di causarne la morte, il mezzo si avvale di un presunto diritto di poter intervenire direttamente da parte di queste squadre di vigilantes.

Come già nel 1800 la mucca diventa, dunque, pretesto e scusa per creare un nemico, definendo se stessi "i propri confini culturali, etici e morali, il proprio valore e coraggio per opposizione: si è ciò che il nemico non è" e, come sempre accade in questi casi a tutte le latitudini, "avere a disposizione un nemico consente di veicolare le proprie frustrazioni, timori, odi e paure". 

In un paese come l'India il cui, come si sente dire in ogni occasione, "il principale problema è quello dell'eccesso di popolazione", l'acquisizione di una maggiore consapevolezza dei propri diritti da parte di un gruppo come quello dei Dalit che costituisce il 17% della popolazione, fa evidentemente paura. Fa paura la competizione che potrebbe comportare la presenza di Dalit più istruiti, fa paura il sistema di "reservation" messo in atto dai governi dei singoli stati indiani, di quelle quote, cioè, che garantiscono per legge ai Dalit e ad altre minoranze una presenza nelle scuole, nel mondo del lavoro e nella politica.

Ed è proprio il mondo della politica ad essere interpellato con forza di fronte a questa situazione, visto che alla popolazione Dalit sono attualmente garantiti 84 seggi alla Lok Sabha, la camera bassa del Parlamento. Nonostante il primo ministro Narendra Modi, che nelle elezioni del 2014 aveva richiesto l'appoggio dei Dalit promettendo loro protezione, abbia recentemente sostenuto "Shoot me, not my Dalit brothers" (“colpite me, non i  miei fratelli Dalit”), gli attivisti Dalit e l'opposizione sono concordi nel ritenere molto ambigua la politica del suo partito. Il BJP è infatti accusato di sostenere o per lo meno di avere una certa indulgenza nei confronti dei vigilantes. Le vicine elezioni in alcuni stati come l'Uttar Pradesh che, con il 21% della popolazione Dalit da solo garantisce 17 seggi riservati nella camera bassa, rendono la situazione molto instabile. I Dalit, fino ad oggi frammentati nella loro scelta politica, stanno ritirando il loro consenso nei confronti dei partiti di governo accusati di scarsa volontà di gestire la situazione, e valutando una maggiore coesione.

Nel frattempo una parte della società civile ci tiene a ricordare come la scusa delle mucche non sia che un pretesto per una battaglia di tutt’altro genere visto che è noto come sia tradizione che ai Dalit vengano consegnate le carcasse delle mucche già morte perché essi provvedano alla loro sepoltura dopo averle scuoiate per poterne trarre un piccolo guadagno. Sempre più voci si alzano, inoltre, per sostenere che se le mucche muoiono ciò non dipende dai Dalit, il cui ruolo come detto è ben altro, quanto dalla scarsità e dal sovraffollamento delle stalle e dalla rapida crescita delle città che, inglobando territori tradizionalmente rurali, mette a rischio la vita di questi animali. Non solo per la loro presenza su strade trafficate, ma anche e soprattutto perché in questi contesti immondizie, sacchetti di plastica e resti dei ristoranti stanno diventando la base della loro alimentazione. Il risultato è visibile e ben lontano dall’immagine di florido benessere tradizionalmente associato a questo animale, come dimostra la produzione di latte che cala per le mucche cittadine a 5 litri al giorno contro i 25 litri delle mucche allevate in contesto agricolo.

Francesca Benciolini 

Ultime su questo tema

Basta guerra fredda!

30 Agosto 2025
Il recente vertice di Anchorage ha aperto spiragli per un futuro meno segnato da conflitti e contrapposizioni. (Alex Zanotelli e Laura Tussi)

Global Sumud Flotilla: resistere per esistere

29 Agosto 2025
Dal Mediterraneo a Gaza: la più grande flottiglia civile mai organizzata per denunciare il genocidio e portare solidarietà al popolo palestinese. (Articolo 21)

Un candidato presidente ucciso in Colombia accende il clima delle presidenziali

23 Agosto 2025
L' omicidio dell'ex senatore Miguel Uribe Turbay scalda ancor di più il clima in Colombia. (Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo)

“Freedom Flotilla”: la violazione dei diritti umani e il silenzio dell’Occidente

18 Agosto 2025
La “Freedom Flotilla” fermata da Israele: l’attivista Antonio Mazzeo denuncia la violazione dei diritti umani e il silenzio dell’Occidente. (Laura Tussi)

Hiroschima, Nagasaki e il genocidio

09 Agosto 2025
Sono 80 anni dai bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto. (Other-News)

Video

'Invictus': Time to Rebuild Our Nation