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Abbiamo incontrato il Garante dei diritti dei detenuti in Trentino
Riconciliazione
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In foto: A. Menghini
Unimondo continua a tenere i riflettori accesi sulle condizioni carcerarie e sull'effettiva capacità del sistema di riabilitare il detenuto. Dopo aver intervistato i docenti che curano la didattica all’interno della Casa circondariale di Trento, la parola passa alla Garante dei diritti dei detenuti del Trentino, Antonia Menghini, Professoressa di Diritto penale all’Università di Trento.
Il ruolo di garanzia che lei ricopre in Trentino in quali attività si esplica?
La legge sull’ordinamento penitenziario riconosce ai garanti un generale potere ispettivo, consistente nel poter far ingresso nelle strutture di propria competenza senza necessità di autorizzazione e nel diritto di svolgere colloqui riservati con i detenuti, seppur con controllo visivo. Il detenuto può inoltre rivolgere anche al Garante i reclami cosiddetti “generici”. Di fatto la legge non concede poteri autoritativi ai garanti, che si limitano pertanto a segnalare eventuali violazioni alle autorità preposte.
È l’art. 9 bis, inserito nel 2017 nella legge provinciale n. 28 del 1982 relativa al Difensore civico, che disciplina compiutamente le prerogative del Garante dei diritti dei detenuti per quanto concerne la Provincia Autonoma di Trento precisando che “il Garante promuove interventi, azioni e segnalazioni finalizzati ad assicurare, nel rispetto dell'ordinamento statale e dell’ordinamento penitenziario in particolare, l’effettivo esercizio dei diritti delle persone presenti negli istituti penitenziari, anche attraverso la promozione di protocolli d’intesa tra la Provincia e le amministrazioni statali competenti”.
L’attività del Garante si articola, pertanto, su un duplice piano: all’interno della struttura carceraria, attraverso l’attività ispettiva e di colloquio con le persone detenute (che peraltro viene svolta anche nei confronti dei famigliari e delle persone in misura alternativa), e sul territorio, nell’interlocuzione costante con le istituzioni coinvolte nel reinserimento sociale dei detenuti, nella predisposizione di Protocolli e progettualità specifiche, oltre che nell’attività di sensibilizzazione sui temi del carcere e di partecipazione alle riunioni convocate a livello nazionale dal Coordinamento Garanti territoriali e dal Garante Nazionale.
Esiste quindi un organo nazionale di raccordo dei garanti territoriali?
Sì, è la Conferenza dei Garanti dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà, l’organismo di rappresentanza istituzionale dei garanti nominati dagli enti territoriali della Repubblica e il luogo di confronto e di condivisione delle loro esperienze. In particolare, tra le prerogative della Conferenza figurano quelle di collaborare con il Garante nazionale, di elaborare linee-guida per la regolamentazione, l’azione e l’organizzazione degli uffici dei Garanti territoriali, di monitorare lo stato dell’arte della legislazione in materia di privazione della libertà, di coordinare la raccolta di informazioni relative alle forme e ai luoghi di privazione della libertà nei territori di competenza dei garanti territoriali, oltre che di esercitare ogni forma di azione ritenuta opportuna per la risoluzione delle problematiche relative alla privazione della libertà.
In generale di quali diritti gode il detenuto in carcere?
Il detenuto si vede riconosciuti tutti i diritti fondamentali “compatibili” con lo status detentionis. Ciò significa che il detenuto, che pure vede significativamente ridotta la propria libertà personale, ne conserva una parte che è tanto più preziosa - come insegna la Corte costituzionale - proprio perché costituisce l’ultimo baluardo dell’espressione della sua personalità individuale. Al detenuto debbono dunque essere riconosciuti i diritti fondamentali e, prima ancora, deve essere rispettato il principio di umanità della pena e, più in generale, la stessa dignità della persona. È però, fisiologico che i diritti riconosciuti ai detenuti, ad eccezione di quelli intangibili (quali, ad esempio, la vita, l’integrità fisica e il nome), possano soffrire delle limitazioni a fronte del bilanciamento con le contrapposte esigenze di ordine e sicurezza, salvo comunque, ribadisco, il limite del nucleo essenziale dei diritti fondamentali che non può essere intaccato.
I detenuti della casa circondariale di Spini di Gardolo quali problemi incontrano (se li incontrano)?
Le questioni più frequentemente portate alla mia attenzione riguardano l’accesso alle misure alternative e ai cosiddetti benefici (permessi premio e lavoro all’esterno), la libertà anticipata (sconto di 45 giorni ogni 6 mesi per partecipazione all’attività rieducativa), l’acceso al lavoro, alla scuola, il diritto alla salute, il diritto al vitto, oltre a questioni relative ai colloqui sia de visu che telefonici, alla ricezione di pacchi e posta.
I piani formativi gestiti in carcere dai docenti del Liceo “A. Rosmini” di Trento risultano soddisfacenti? E quelli professionalizzanti dell'Istituto alberghiero?
L’offerta formativa in carcere è particolarmente qualificata, svolta da personale preparato e dotato di una spiccata sensibilità. Anche i riscontri che ho raccolto dalle persone detenute sono sempre stati largamente positivi e di grande apprezzamento per il lavoro svolto dai docenti. Mi permetto di aggiungere che al momento ci sono 5 detenuti regolarmente iscritti a un corso universitario dell’Ateneo trentino.
Quale soluzione suggerisce al problema del sovraffollamento carcerario?
Certamente l’implementazione dell’accesso alle misure alternative può essere una delle strade percorribili che comunque passa per la necessità di investimenti che riguardino risorse abitative e possibilità lavorative. Dati alla mano, chi ha avuto accesso alle misure alternative presenta, infatti, un tasso di recidiva significativamente inferiore a quello delle persone che abbiano eseguito interamente la pena in carcere. Inoltre, più a monte, sarebbe opportuna una revisione del sistema sanzionatorio che individuasse nuove pene principali, tenendo l’extrema ratio del ricorso al carcere per i reati più gravi. In quest’ultima direzione si è mossa, ad esempio, la recente Riforma Cartabia che ha ridisciplinato le cosiddette pene sostitutive. In un sistema detentivo ideale ci sarebbero, quindi, meno detenuti per una fascia di criminalità medio-alta e molte più risorse, intese non solo come investimenti per implementare le attività formative, professionalizzanti e lavorative all’interno delle strutture di pena ma anche quali risorse umane, di organico, per poter sostenere adeguatamente il condannato in un percorso rieducativo in cui lo stesso venga ad assumere un ruolo proattivo e non meramente passivo.
In un'intervista all'Adige di circa 1 anno fa lei elencava alla ministra Cartabia i problemi del carcere di Spini; oggi restano gli stessi?
Certamente il rapporto tra il numero delle presenze - di molto superiore a quello convenuto nell’accordo siglato nel 2008 tra Provincia Autonoma di Trento e Ministero – e l’esiguità degli operatori penitenziari rimane il punto più critico. Rispetto allo scorso anno, se la Direzione della casa circondariale dal giugno di quest’anno è finalmente dedicata e non più a scavalco con quella di Bolzano, critica rimane la situazione dell’organico della polizia penitenziaria e ancor più deficitaria rispetto allo scorso anno è la situazione degli educatori che sono rimasti solo in 2 per circa 350 detenuti. Prospettare l’attuazione dell’offerta rieducativa e dell’attività di osservazione in queste condizioni diventa particolarmente difficile, se non impossibile.
Chi sono i detenuti della Casa Circondariale di Spini di Gardolo?
A Trento la percentuale di detenuti stranieri risulta rovesciata rispetto alla media nazionale: se nel resto d’Italia i detenuti stranieri sono circa il 30%, a Spini ammontano attualmente al 58% (ma negli ultimi anni abbiamo toccato punte anche del 73%). Questo è un dato con cui è necessario fare i conti, anche nel declinare l’offerta trattamentale che deve tenere in considerazione le specificità di questa fascia di popolazione detenuta, normalmente priva di qualsiasi riferimento sul territorio, caratterizzata da una bassa scolarizzazione e molto spesso da una scarsa conoscenza della lingua italiana.
Un caso che le è rimasto particolarmente a cuore?
Quello di un detenuto che, a pochi giorni dal suo ritorno in libertà dopo anni di detenzione, mi ha raccontato di avere molta paura di “tutta quella libertà, tutta in un solo momento”. In realtà sarebbe importante “accompagnare” il detenuto attraverso un reinserimento graduale in società che gli riconosca, a fronte di una progressiva responsabilizzazione e di altrettante buone prove di sé, spazi sempre più ampi di libertà, dapprima attraverso la concessione di permessi premio, poi di un lavoro all’esterno e, infine, con la concessione di una misura alternativa.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.