Il secondo polmone verde del pianeta brucia

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Foto: Unsplash.com

La Fao ha appena pubblicato i primi dati della valutazione sullo stato delle foreste nel mondo, un appuntamento biennale in vista del monitoraggio degli obiettivi dello sviluppo sostenibile all’orizzonte 2030. C’è un sorvegliato speciale nel quadro generale tracciato sulla progressiva deforestazione del pianeta, ed è l’Africa.

Nell’ultimo decennio 2010-2020 l’Africa ha avuto il tasso di deforestazione più elevato di tutte le regioni, con la perdita di 3,9 milioni di ettari all’anno, contro una perdita su scala mondiale di 4,7 milioni di ettari all’anno. Il dato più preoccupante è che, mentre alcune regioni – come l’Asia e l’Europa – hanno esteso la superficie coperta dalle foreste, o hanno rallentato le perdite – come il Sud America -, l’Africa ha aumentato costantemente il suo tasso di deforestazione dai 3,3 milioni di ettari nel decennio 1990-2000, ai 3,4 del decennio successivo, per giungere ai 3,9 dell’ultimo decennio.

Quando parliamo di Africa parliamo soprattutto della foresta tropicale del Bacino del Congo che è la seconda al mondo per estensione dopo quella amazzonica, e che rappresenta circa 1/4 della foresta tropicale nel mondo. Il Bacino del Congo si estende su sei paesi (Camerun, Repubblica Centrafricana, Congo, Repubblica democratica del Congo, Gabon e Guinea equatoriale), ma la superficie più importante, 60%, è concentrata nella sola Repubblica democratica del Congo.

Prima ancora di analizzare le cause recenti di una tendenza in atto da decenni, va subito detto che le prospettive per questa parte della foresta africana non sono affatto rosee. Uno studio recente dell’Università del Connecticut, che ha analizzato la possibilità di rigenerare le foreste della terra, ha individuato sette regioni dove questo è possibile e conveniente. Ebbene, sei di queste regioni si trovano in Africa, in Rwanda, Burundi, Sud Sudan, Uganda, Togo e Madagascar, ma il maggiore polmone africano vi è escluso. Ciò significa che la deforestazione continuerà anche perché la comunità internazionale sembra poco attenta. Lo dimostra il dato delle risorse mobilitate per salvaguardare le foreste, mentre il Sudest asiatico e l’Amazzonia assorbono, rispettivamente, il 54,5% e il 34% dei fondi internazionali, il Bacino del Congo ne riceve solo l’11,5%.

Va detto che un ruolo importante in questa sottovalutazione lo ha anche il governo di Kinshasa, non sempre in grado di elaborare piani suscettibili di essere finanziati, e soprattutto di mettere in atto una politica coerente. Ancora più drastica la previsione all’orizzonte del fine secolo. Con la tendenza in atto, da qui al 2100 – secondo uno studio dell’Università del Maryland – la foresta tropicale del Bacino del Congo, con tutta la sua biodiversità, è destinata a scomparire. La sorpresa è nell’individuazione delle cause. Tutti noi abbiamo in mente lo sfruttamento del legname o la trasformazione in superfici coltivabili per l’agricoltura speculativa, le mani delle multinazionali insomma. Invece, secondo questo studio, l’80% della superficie distrutta lo sarebbe a causa dei tagli su piccola scala per far posto all’agricoltura di sussistenza, anche nelle superfici coperte dalla foresta vergine (per il 60%).

La povertà sarebbe dunque la causa principale di questo degrado, ed in particolar modo nella Repubblica democratica del Congo dove la guerra e l’instabilità politica contribuiscono ad alimentarla. Questa realtà non può tuttavia occultare le responsabilità del governo e degli interessi internazionali, come denunciano da tempo le associazioni ambientaliste. Il traffico del legname avviene sotto gli occhi bendati del governo e dei suoi agenti locali. I permessi forestali, come ha denunciato Global Witness, sono venduti sottobanco. In teoria, Kinshasa ha adottato nel 2002 una moratoria sulle concessioni e un codice forestale che dovrebbe proteggere l’ambiente, con obblighi stringenti per i concessionari.

La realtà è però ben diversa, come la ripresa delle concessioni, in particolare a due società forestali cinesi (Fodeco e Somifor) che dopo un primo stop hanno ottenuto la possibilità di sfruttare ben 650mila ettari di foresta. Secondo Greepeace il governo avrebbe violato la stessa legge congolese. Aperture di strade e ricerche petrolifere sono concesse anche in zone protette, come il prezioso parco di Virunga. Un certo disinteresse nei confronti del secondo polmone del mondo è testimoniata dal fatto che mentre gli occhi erano tutti puntati sugli incendi in Amazzonia o in Australia, anche la foresta dell’Africa centrale bruciava, anzi continua a bruciare. In questo caso più che di grandi incendi si parla della pratica di bruciare la massa vegetale per far posto alle colture agricole a distruggere la foresta. Un metodo ricorrente nell’agricoltura tradizionale africana. L’Ente spaziale europeo ha pubblicato in febbraio una prima analisi dei dati rilevati dai suoi satelliti Copernico, che mostrano come il 70% della superficie mondiale incendiata si concentra proprio nell’Africa sub-sahariana.

Luciano Ardesi da Nigrizia.it

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