Dal “jihad della penna” all’impegno umanitario

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Nel panorama delle sette islamiche spicca il movimento Ahmadiyya, nato nel XIX secolo a Qadyan, uno sperduto villaggio indiano. Sebbene non abbiamo a disposizione cifre certe, il movimento stima diversi milioni di adepti in 193 paesi asiatici, africani, europei ed americani. I principali centri di questa comunità si trovano in Pakistan, India, Indonesia, Ghana e Canada, mentre la sede centrale è sita a Londra.

Il movimento Ahmadiyya è uno dei più recenti in ambito islamico, essendo nato nel 1889. I suoi membri hanno subìto persecuzioni, soprattutto a Lahore, e lo stesso Yusuf al-Qaradawi, figura centrale dell’islam sunnita attuale, è uno dei loro principali detrattori. Difatti, nonostante il movimento rientri nell’alveo dell’islam sunnita, è considerato a stragrande maggioranza eretico e persino non musulmano.

Il fondatore della Ahmadiyya, Mirza Gulam Ahmad, riteneva di essere il messia apparso con lo spirito e la potenza di Gesù e nello stesso tempo il mahdi (lett. “ben guidato da Dio”) atteso dai musulmani. Con lui, dunque, si riapriva il ciclo profetico che secondo l’islam, sia sunnita che sciita, si era concluso con il Profeta Muhammad. Egli sosteneva di aver scoperto che la tomba di Gesù si trovava in Kashmir, dal momento che lo stesso era sfuggito ai suoi persecutori di Gerusalemme per poi giungere in estremo oriente.

Secondo una tradizione musulmana, all’inizio di ogni secolo, per fortificare la fede Dio sceglie un uomo che rinnovi la religione e Gulam Ahmad si riteneva il prescelto, colui che avrebbe incarnato le speranze dell’islam nel suo futuro trionfo universale. Ed ecco che Gulam Ahmad si considera sia il messia che il mahdi, “titoli” ai quali aggiunge quello di avatar, a beneficio degli indù.

Il segno distintivo del movimento è la sua interpretazione della dottrina del jihad, che fa di esso un movimento pacifista. Il jihad nella sua valenza di lotta armata per la difesa della religione (grande jihad) non è un obbligo per i musulmani. La non violenza è un principio prettamente musulmano, interpretato alla luce dei versetti coranici. Il movimento raccomanda ai suoi seguaci pace e tolleranza e condanna il fanatismo.

Gli Ahmadiyya dunque rifiutano fermamente il jihad inteso come aggressione militare, così come il loro fondatore si era opposto all’iniziativa armata nei confronti dei Britannici che occupavano l’India, a favore di iniziative pacifiche nel nome dell’islam. La filosofia ahmadiyya cerca di suscitare uno spirito propenso alla cultura. Ancora oggi, infatti, essa difende strenuamente il jihad attraverso la penna, vale a dire mediante la traduzione, la pubblicazione e la diffusione di testi religiosi e mediante l’uso dei nuovi media.

La teoria del jihad della penna si traduce in pratica. Il quarto successore del fondatore del movimento ha dato vita nel Regno Unito al canale satellitare internazionale Muslim Television Ahmadiyya. Inoltre il movimento ha un sito internet (http://www.alislam.org/) in cui è possibile consultare il Corano, commentari coranici e hadith in decine di lingue.

Il jihad culturale invocato dal movimento, volto alla conoscenza dell’islam e non alla sua imposizione, si manifesta anche nell’incoraggiamento al dialogo interreligioso. “Non vi sia costrizione nella Fede” (2:256): gli Ahmadiyya hanno fatto di questo versetto un vero e proprio inno contro la violenza e il terrorismo, coniando anche il motto inglese del movimento, Love for all, hatred for none.

Un’altra traduzione concreta della filosofia ahmadiyya è quella che si materializza nel costante e notevole impegno umanitario dei suoi seguaci. Nei vari paesi in cui si è stabilito, il movimento ha messo a disposizione istituti educativi, servizi sociali e medico-sanitari, centri culturali e moschee.

L’impegno sociale del gruppo si è manifestato anche attraverso la creazione di un’organizzazione umanitaria no-profit, Humanity First, interamente indipendente e gestita da una rete di collaboratori volontari sparsi nel mondo. Fondata dal quarto successore di Gulam Ahmad, essa ha collaborato con altre organizzazioni internazionali come Amnesty, la Croce Rossa, le Nazioni Unite e Save the Children.

Tra gli interventi più noti di Humanity First, vi sono quelli dispiegati in occasione dell’uragano Katrina, del terremoto in Pakistan e ad Haiti e dello tsunami in Giappone. L’organizzazione porta avanti anche programmi a lungo termine, come Water For Life, che mira a garantire la fornitura di acqua potabile in alcuni villaggi africani, e altri progetti riguardanti la cura degli orfani e delle famiglie bisognose nell’Africa subsahariana. Humanity First fornisce il proprio sostegno indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla cultura e dalla religione, a favore dei diritti umani.

Arianna Tondi

Fonte: arabismo.it

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