Ucraina: barricate

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Foto: M. Canapini ®

Andrei, 14 anni, è uno dei tanti minori soli sfollati da Donetsk. Un ciuffo biondo gli cade sul viso scarno riempito di lentiggini. Per tre settimane l’adolescente è rimasto nascosto in una vecchia cantina, mangiando olive e fette di formaggio. Al ventiduesimo giorno è riuscito a scappare grazie ad un pugno di volontari della Croce Rossa Nazionale. Ciondola in disparte, sotto le fronde dei pini che toccano il cielo. “Vivevo con mia nonna ed il mio padrino nella periferia di Alcevsk, nel Donbass. Non mi permettevano di guidare la macchina, ma con il motorino avevo l’abitudine di superare i check-point dei filorussi. I primi due solitamente andavano bene, ma quando procedevi verso i territori occupati iniziavi a vedere (e tuttora vedi se vai), siringhe e bottiglie vuote di vodka. I soldati si ubriacano e iniziano a picchiare i civili inermi. Ho visto stuprare ragazze e sparare contro abitazioni civili. Ormai è impossibile vivere nelle zone occupate, quando sparano o bombardano esplode tutto. Una volta per strada c’erano degli scontri ed io mi trovavo in camera davanti al PC; un proiettile ha colpito lo schermo rompendolo per metà. Non capisco a cosa serve questa guerra. Dicono che Putin vuole il gas. Ma io mi chiedo, a casa sua gli manca per caso? Sta di fatto che bombardavano frequentemente ed un giorno qualunque, ricordo, ero con mia nonna in cucina mentre tremava tutto e gli spari si avvicinavano. Mia nonna mi ha detto - tranquillo, chi è destinato a morire d’acqua, non può morire di fame - cosi ho capito che potevo solo attendere il mio destino. Poco tempo dopo sono scappato, ho trascorso circa venti giorni un seminterrato ed ora mi trovo qui… a dir la verità, non sono molto felice”.

Ci guardiamo. Potrebbe essere mio fratello minore o un cugino. Tra me e lui c’è un metro di distanza, ma a dividerci prende forma un mondo, uno shock, una guerra. Masha, interprete e responsabile dei progetti AIBI a Kiev, passeggia al mio fianco. Le chiedo a bruciapelo, sfiorando una moltitudine di bambini in corsa: “Ma se la situazione dovesse peggiorare e la guerra arrivasse nella capitale, cosa faresti?”. “Ci ho già pensato. Vorrei prendere mia figlia e scappare, ma sono anche convinta che ognuno di noi ha un suo posto dove stare, e non è semplice abbandonarlo”.

Un enorme cappello di fumo ricoprire i palazzi di piazza Indipendenza. Le barricate bruciano ancora. Avanzando nel cuore della protesta, la fuliggine annebbia l’aria che è densa e nera, gli occhi bruciano. Soldati con armi leggere e fucili da precisione vengono spinti dai presidianti di Maidan. Quest’ultimi, che oscillano dai diciotto ai sessant’anni, con un lampo appiccano l’ennesimo incendio ad una camionetta poco distante. In pochi minuti il mezzo si sgretola sotto il caldo asfissiante emanando vampate di calore e fiamme, altissime e prorompenti. Le forze dell’ordine si disperdono ma la massa agita mazze chiodate e scudi fittizi, lancia sampietrini e molotov artigianali. Una radio rammendata sbraita slogan e musica patriottica. Tra le fiamme è stato gettato di tutto: ciabatte, pezzi di metallo e plastica, graticole, cartoni e maglie di lana. Per terra e sulle palizzate che sostengono le tende sono incastrate o appese maschere antigas e bottiglie vuote di superalcolici. Un ragazzo col passamontagna estrare dalle tasche dei pantaloni una pistola, carica un colpo e la passa ad una donna al suo fianco che la avvolge tra le pieghe della felpa rossa. Molti dei presenti sfoggiano simboli religiosi legati all’ortodossia cattolica. Come il ritratto di Gesù Cristo che troveremo ore dopo all’ospedale militare di Kiev; un via vai di barelle, dottori, infermiere dagli occhi azzurri e cellulari che squillano. I famigliari dei militari feriti evacuati dal fronte, attendono in fila indiana di fronte l’ingresso. Al quarto piano, con una mano sulla stampella e l’altra sul corrimano, scende una recluta rimasta gravemente ferito. Avrà si e no vent’anni, come la maggior parte di quelli che vedremo camminare nei dintorni dell’area. La giovane recluta ha perso completamente una gamba e l’atra è scavata fino all’osso e rammendata con infiniti punti, garze e fasce da cui si intravedono croste e ferite ancora fresche. 

Chiediamo di poter intervistare un militare ferito. Si fa incontro Lilia, la moglie del soldato semplice Fedir. “Mio marito ha trentanove anni. Intorno alla metà di marzo è arrivato l’avviso a casa con cui richiamavano i soldati al fronte. Se ti opponi alla norma rischi dai tre ai cinque anni di carcere. Dunque, tra la galera ed il fronte, Fedir ha scelto il fronte. Il 23 marzo è partito per il Donbass e l’11 luglio è rimasto ferito. Sono stati circondati dall’artiglieria pesante, mio marito non ha fatto in tempo a raggiungere la trincea e si è riparato sotto un carro armato. Il ragazzo di fianco a lui, di diciannove anni soltanto, è morto sul colpo, trafitto da alcune schegge di mortaio. Fedir ha riportato una gravissima ferita alla pancia, parte dell’intestino è stato asportato, la gamba sinistra è scavata fino all’osso e gli hanno dovuto pure ricucire parte della guancia. Ora le ferite sono ancora fresche, è stato operato anche ieri pomeriggio e non riesce a camminare. Spero che si riprenda del tutto”. Dò un’occhiata agli occhi azzurri e liquidi di Lilia, in attesa del proseguo: “Fedir mi ha anche raccontato delle condizioni terribili in cui vivevano al fronteErano costretti a dividere la porzione giornaliera e farla durare almeno per quattro. Bevevano per lo più acqua piovana e non avevano tende adeguate per dormire o per ripararsi dai temporali. Spero presto di tornare a casa, abbiamo due bambini di otto e due anni che ci aspettano”. La voce cade nel vuoto, l’ingresso che conduce al reparto di terapia intensiva si apre ogni dieci minuti. È già sera. 

Matthias Canapini

Matthias Canapini è nato nel 1992 a Fano. Viaggia a passo lento per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Dal 2015 ha pubblicato "Verso Est", "Eurasia Express", "Il volto dell'altro", "Terra e dissenso" (Prospero Editore) e "Il passo dell'acero rosso" (Aras Edizioni).

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