Sulla linea di confine, in fuga dalla guerra

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KILIS (Turchia) – Per una modica cifra di 30 Lire turche (10 Euro), Abu Mohammed, un siriano originario di un piccolo villaggio siriano a Est di Azaz, guida decine di persone fuori dall’inferno. Da due anni, Abu Mohammed, vive nella cittadina turca di confine di Kilis. Prima della guerra era uno dei tanti contrabbandieri che commerciavano olio di oliva tra un lato e l’altro della frontiera. Oggi, invece, la sua fortuna sono le migliaia di disperati che ogni giorno attraversano per scappare dalla guerra.

I siriani con un passaporto attraversano regolarmente dal posto di frontiera di Bab al-Salam, da due anni sotto il controllo dei ribelli. Chi il passaporto non ce l’ha si rivolge a quelli come Abu Mohammed, che da queste parti sono parecchi. Alle 7 di una piovosa domenica mattina di Gennaio l’uomo è già al lavoro in mezzo agli olivi di un campo dichiarato dai soldati turchi “zona militare”. Ha messo assieme quattro auto, tutte con targa siriana, amici e parenti, che si divideranno la somma di denaro pagata per trasportare chi arriva in un campo profughi o a casa di amici e parenti.

“Il momento buono”, per dirla con lui, arriva solo alle 11, dopo oltre quattro ore di attesa. I militari che pattugliavano l’area se ne sono andati a bordo di una camionetta, consapevoli che le almeno quindici persone che attendevano sedute su sacchi di plastica bianchi e circondati da enormi e vecchie valige dietro alla distesa di filo spinato non erano li per turismo. “Questa gente sta scappando dalla guerra. Non hanno un passaporto o alcun tipo di documento. Cosa dovremmo fare? Lasciarli morire la dentro”, dice l’uomo mentre a passo veloce si avvia verso la strada principale tra la città di Kilis e il confine con la Siria, dove anche se fermato i militari non potranno più accusarlo di essere entrato in una zona militare.

Da oltre due settimane, in Siria, si è aperto un nuovo fronte di battaglia. Oltre agli aerei del regime che sganciano i “barili bomba”, si è aggiunta la fratricida guerra tra i ribelli di quello che resta dell’Esercito Siriano Libero, il Fronte Islamico, oggi uno dei principali gruppi di opposizione al presidente Bashar al-Assad e l’ISIS, lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, gruppo affiliato ad al-Qaeda, che per la maggior parte vede tra le sue fila combattenti stranieri. Il crescente numero di auto bombe che l’ISIS sta mettendo nelle città siriane sotto il controllo dei ribelli e i violenti scontri che vanno avanti senza sosta hanno provocato un altro grande flusso di sfollati che tentano di entrare in Turchia.

Un centinaio di chilometri a Est, lungo la strada turca che costeggia il confine siriano, il rumore delle esplosioni e il fischio dei proiettili è incessante. Alcuni siriani hanno appena attraversato illegalmente e aspettano un autobus per Gaziantep. Ali viene da Jarabulus e racconta che “per due giorni” ha cercato “di arrivare al confine con la Turchia, che dista solo qualche chilometro, ma i combattimenti erano così violenti” che non ha potuto muoversi da casa. Solo questa mattina è riuscito ad attraversare. “Dentro – dice – le cose stanno andando molto male. Prima gli aerei e i mortai del regime, poi le esecuzioni sommarie senza motivo, adesso i combattimenti casa per casa tra ribelli e Daesh (ISIS). Non c’è fine al peggio. Oramai viviamo come mendicanti. La corrente non c’è, il cibo non arriva. È da due anni che viviamo in queste condizioni”. Sua moglie lo ascolta sconsolata. La sua testa è avvolta in un velo nero e la sua faccia racconta la stanchezza e la disperazione che sta vivendo. “Il mondo – dice la signora – ci ha abbandonato”. La donna ha gli occhi lucidi quando con un filo di voce, che lentamente scende, racconta: “vivevamo con dignità. Mio marito aveva un lavoro, i miei figli studiavano. Adesso siamo un giorno a casa di parenti, un altro da amici. Non abbiamo più niente. Non abbiamo soldi, vestiti”. Uno degli uomini nel gruppo chiede di non scattare fotografie: “prima – spiega – c’era il regime a torturarci. Adesso c’è al-Qaeda. Ci hanno proibito anche di fumare sigarette. Un amico è stato arrestato e frustato perché ad un posto di blocco gli hanno trovato un pacchetto di sigarette in tasca”. “Immagina – dice – se vedessero la mia faccia su qualche giornale. Sarei morto”. Quando l’autobus arriva il gruppo carica i pochi bagagli che si è portato dietro e si allontana.

Sulla strada del ritorno, la macchina si ferma davanti alla città siriana di Afrin. Dal lato turco, in lontananza, si vedono alcune luci accese. Tre uomini che hanno appena attraversato il confine si scaldano attorno ad un fuoco. Aspettano il resto del gruppo che è stato fermato dai soldati turchi, che probabilmente permetteranno loro di passare. “Ad Afrin – racconta Kovan, un ragazzo di 27 anni laureato in Informatica – siamo a corto di cibo. Attraverso il confine ogni due-tre settimane e torno con provviste per la mia famiglia”. Qualche volta i soldati lo fermano. “Quando ci fermano ci fanno sedere sulla strada militare e ci chiedono i documenti. Sanno benissimo che chi attraversa illegalmente è perché non ha nessun documento. Ci fanno stare li a guardarci per qualche ora e poi ci lasciano andare”, racconta, aggiungendo che “nessuno di noi vuole vivere in Turchia. Attraversiamo solo perché siamo disperati la dentro. Se potessimo vivere senza questa miseria non rischieremmo l’attraversamento. I soldati lo sanno, riconoscono le nostre facce. Sanno che entriamo ed usciamo”. Due sorelle di Kovan vivono in Turchia, mentre la madre e il padre non vogliono abbandonare la loro unica casa nonostante Afrin sia circondata su tre lati da ribelli e ISIS che tentano invano da oltre un anno di prenderne il controllo.

La rivolta che avrebbe dovuto ridare dignità e giustizia al Paese ha provocato oltre due milioni di rifugiati, milioni di sfollati interni e oltre 130mila morti. L’ultimo dato sul numero delle vite perse risale addirittura a mesi fa. Nelle settimane scorse le Nazioni Unite hanno dichiarato ufficialmente che non conteranno più le vittime del conflitto. Anche per loro è diventato troppo difficile reperire dati e informazioni dall’interno.

Andrea Bernardi

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