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Sudafrica, due anni senza Mandela
Conflitti
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Sono passati due anni dalla morte di Nelson Mandela e la sua memoria continua a restare una pesante eredità da gestire. Dopo le celebrazioni e gli omaggi planetari resi lo scorso anno, nel primo anniversario della sua scomparsa, all’uomo che più di ogni altro ha lottato contro l’apartheid sudafricana e per la riconciliazione nazionale, oggi il ricordo di “Madiba” resta vivo come simbolo di pace e di resistenza, un esempio per i popoli oppressi di tutto il mondo, un eroe delle campagne per il rispetto dei diritti umani.
Tuttavia la “nazione arcobaleno” stenta a riconoscersi nell’immagine che Mandela aveva dello Stato e dei suoi amministratori. La promozione dell’umiltà e dell’onestà, il ruolo dei leader politici a servizio del popolo e il riconoscimento di una nazione fatta di persone che contano tutte allo stesso modo, con la stessa dignità e gli stessi diritti. La Repubblica sudafricana continua a commemorare e a piangere il suo eroe della patria, consapevole però che la sua eredità politica e morale sembra non essere rispettata né dal suo Paese, né dal suo partito, l’African National Congress. Corruzione e tensioni sociali, crisi economica e disoccupazione crescente tendono ad allargare la forbice delle opportunità e della garanzia dei diritti tra bianchi e “colorati”, tra ricchi e poveri, in un penoso perdurare dei termini di “sviluppo separato” dei decenni della segregazione razziale.
Il cordoglio deve dunque ora cedere il passo all’azione, perché c’è davvero molto da fare in Sudafrica. Sono passati vent’anni dall’abolizione dell’apartheid ma non sono ancora intervenuti cambiamenti profondi nel tessuto sociale, nel tentativo di ridistribuire ricchezze, terreni, migliori opportunità lavorative e nel campo dell’istruzione. Il Sudafrica è inserito a pieno titolo tra i cosiddetti BRICS, gruppo delle cosiddette economie emergenti composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, le cui iniziali dei nomi compongono l’ormai fortunato acronimo, e il Paese esercita un ruolo di leadership anche nel G20, altro blocco di Stati creato in un tentativo di riformare e ampliare il “potere” ormai limitato del G8 per concertare politiche economico-commerciali e per favorire l’internazionalità economica. La modernità dunque avanza e con sé porta lo sviluppo di servizi di welfare, ma non ovunque, non nelle ben note sacche di povertà e di emarginazione della società sudafricana. Così a villaggi fatiscenti e distese di baracche prive dei servizi essenziali, quali acqua, elettricità, sanità se non anche trasporti, si contrappongono poli industriali di alta tecnologia che alimentano i fabbisogni del mercato mondiale, efficienti vie di comunicazione e quartieri finanziari che poco si differenziano dalle “City” occidentali. L’Aids resta il male che sta divorando le nuove generazioni, con ben il 29% della popolazione infettata, di cui quasi la metà sono donne sotto i 30 anni con un profilo che raccoglie insieme disoccupazione, analfabetismo e povertà estrema. La cultura tribale permea ancora molto del tessuto sociale, così come teorie razziste basate sulla supremazia dell’uomo bianco.
La giustizia ripartiva voluta da Mandela con la Commissione verità e riconciliazione ha aperto la strada alla costruzione di una nazione che non mettesse tra i suoi capisaldi la vendetta o il perdono, bensì formulasse una risposta originale e unica, costruita ad hoc per le vittime della violenza e dei soprusi di decenni di apartheid. I frutti di questo processo, che ha verosimilmente evitato l’innesco di un conflitto sociale spaventoso e dagli esiti incerti, sono però ora in attesa di sbocciare e dare buoni frutti, costantemente sotto “minaccia”. In questi giorni di celebrazioni e di riflessioni è ad esempio stata messa in discussione proprio la Freedom Charter (Carta delle Libertà), il documento redatto dall’ANC a Kliptown nel 1955 che segnò uno spartiacque nella storia sudafricana, destinando Mandela come molti altri leader del movimento contro l’apartheid alla detenzione carceraria. La rivendicazione dei poteri da parte del popolo nell’amministrazione del Paese e le libertà invocate per tutti i cittadini sudafricani costituiscono i fondamenti della Costituzione del Sudafrica “arcobaleno” disegnata da Mandela nella sua trentennale detenzione carceraria e poi tradotta in legge all’abolizione delle leggi di segregazione razziale. Tuttavia, secondo le recenti esternazioni di Julius Malema, leader dell’Economic Freedom Fighters (EFF), formazione politica di ispirazione socialista rivoluzionaria creata da fuoriusciti dell’ANC e terza rappresentanza politica in entrambi i rami del Parlamento, Mandela avrebbe voltato le spalle alla rivoluzione dopo esser stato rilasciato dal carcere. L’accusa all’ex presidente sudafricano di aver tradito il suo popolo in cambio di potere politico è stata espressa nel corso di un incontro alla Oxford Union, prestigioso salotto di discussione britannico dove sono echeggiate parole dure, quali che “La deviazione dalla Freedom Charter è stato l’inizio della svendita della rivoluzione”. Affermazioni tacciate come immature e frutto di disinformazione da parte di Mosiuoa Lekota, leader del COPE (Congress of the People), che nega alcun tipo di deviazione da parte del presidente Mandela e interviene con l’autorità di un partito, creato da una costola dell’ANC, che ispira il proprio nome a quel Congresso di Popolo da cui ha avuto origine la nota Freedom Charter.
Polemiche vacue e richiamo al passato costituiscono le costanti della recente storia politica del Sudafrica. Un Paese che da due anni ha perso il proprio punto di riferimento e appare smarrito nella ricerca di una lotta condivisa a livello nazionale e di una nuova guida di pari valore.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.